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Roma, il suicidio di un broker. Nuova truffa da 80 milioni

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Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Messaggero – che ringraziamo – esprime il pensiero degli autori e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

ROMA – L’ultimo giallo finanziario che preoccupa i salotti della Roma bene è cominciato sul marciapiede di una strada silenziosa in Prati, il più ovattato dei quartieri della Capitale. Con il volo mortale di un broker di 54 anni, Giovanni Paganini Marana, che forse troppo sbrigativamente è stato liquidato come un suicidio per depressione. E con un fiume di raccomandate che nei giorni successivi alla tragedia sono arrivate nel suo studio per reclamare la restituzione di somme investite delle quali nessuno sapeva nulla, a cominciare da Marco Chiaron Casoni, suo socio nella Auditors Italiana Srl, una delle più antiche società fiduciarie della capitale. Era il sette settembre scorso.

Eppure solo nelle ultime ore la procura di Roma ha cominciato a mettere a fuoco la vicenda, tanto da arrivare a ipotizzare il reato di istigazione al suicidio. Perché solo adesso è venuta fuori la prima delle tante opacità di questa tragedia che nasconde una presunta truffa stimata finora in circa ottanta milioni di euro: riguarda l’incontro che il broker aveva avuto pochi minuti prima di buttarsi dalla finestra del bagno del quinto piano dello studio in via Nicotera 29. Paganini Marana incontrò un cliente con il quale ebbe una lite violentissima, tanto che la sua principale collaboratrice, Paola Taccone Gallucci, afferrò il telefono e chiamò Marco Casoni a Milano, per avvisarlo che qualcosa di strano stava succedendo in ufficio. Al termine della lite, Paganini la tranquillizzò. Disse che il cliente aveva chiesto di rientrare dei due milioni e mezzo del suo investimento e che bisognava liquidarglieli. Qualche minuto dopo si infilò in bagnò, si chiuse la porta alle spalle e si lanciò nel vuoto. Dal giorno dopo, Marco Casoni ebbe l’esatta percezione che la gloriosa società fiduciaria Auditors, costituita da suo padre Gian Chiaron Casoni nel lontano 1968, si trovava in un brutto guaio. Perché cominciarono ad arrivare altre richieste di restituzione di denaro delle quali lui stesso non sapeva nulla.

Si era ripetuto, a grandi linee, il copione già visto per il caso di Gianfranco Lande, il Madoff dei Parioli. Giovanni Paganini Marana era entrato in Auditors nel ’90 e ben presto, con la sue capacità indiscusse, si era guadagnato la fiducia piena di Gian Casoni. Quando quest’ultimo morì, il figlio Marco subentrò al suo posto, e Paganini diventò di fatto l’unico ad operare nella società. Casoni assunse numerosi incarichi a Milano e trasferì gran parte della sua attività in Lombardia, mentre Paganini snaturò in qualche modo la Auditors, allargando il raggio di azione all’attività di intermediazione mobiliare. La ragione sociale non lo consentiva ma il broker, che nel frattempo era diventato un habituè dei salotti buoni di mezza Roma, raccoglieva ugualmente i contanti potendo contare su una platea sconfinata di investitori. Conosceva professionisti, medici, notai, avvocati, imprenditori.

[ARTICLEIMAGE] Ma anche persone che avevano grandi liquidità all’estero e avevano approfittato dello scudo fiscale per farle rientrare in Italia, e non sapevano come reinvestirle. Per capire la fama della quale godeva questo signore di Chiavari che nel discreto e silenzioso quartiere Prati passava quasi inosservato, basta leggere i titoli che i quotidiani liguri hanno dedicato alla sua morte. Il più eloquente: «Suicida il re dello scudo fiscale» (vedere articolo sotto). Paganini incassava soldi contanti, dunque. Consegnava ricevute su carta intestata della Auditors e dirottava tutto su una società di intermediazione mobiliare di Genova, la Abbacus Sim spa, della quale era stato anche vicepresidente.

Gli ultimi mesi devono essere stati i più complessi. Aveva una moglie gelosa nella Capitale e un’amante esigente a Genova. E qualche cliente che cominciava a sospettare qualcosa. Cominciò a riempirsi le tasche di sonniferi, tanto che un giorno di agosto in Liguria, furono costretti ad andarlo a prendere a casa per portarlo in consiglio di amministrazione in Abbacus. Lo trovarono semisvenuto in camera da letto. Pensarono che avesse alzato il gomito, ma ora anche quell’episodio, riletto alla luce del volo dalla finestra di via Nicotera, assume un altro significato.

Il resto è storia recente. Nei mesi scorsi Paganini si riavvicina alla moglie. Spera di poter nascondere tutto, soprattutto – trapela dalle indagini – quei versamenti sospetti dai suoi conti a quelli dei familiari più stretti. La corsa finisce il sette settembre. E adesso alcuni tra gli avvocati più prestigiosi della Capitale sono pronti a supportare l’inchiesta del pm Francesco Dall’Olio con le loro istanze. A cominciare da Bruno Assumma, che difende proprio Marco Chiaron Casoni: «Sto preparando una denuncia per sollecitare ulteriori indagini affinché vengano accertati fino in fondo i fatti», conferma il legale. Come anche Marcello Melandri, che assiste alcuni soci dello stesso studio di Casoni, perché Paganini non sembra si facesse scrupoli: «Sono rimasti basiti quando hanno saputo di essere stati truffati dalla persona della quale si fidavano di più», spiega il penalista. E presenterà denuncia anche l’avvocatessa Cristiana Calamani, che difende altre vittime: «Anche loro si fidavano ciecamente e adesso stiamo valutando di chiedere nuove indagini».

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Suicida il “re” degli scudi fiscali, è giallo

da Il Secolo XIX 14 settembre 2012

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Genova – Nel 2010 la Banca d’Italia accese un faro su una delle sue società, la Compagnia fiduciaria Genova (Cfg), una piccola fiduciaria con base sotto la Lanterna entrata nella top ten delle casseforti che custodivano i patrimoni “scudati” provenienti da San Marino.

Per gli addetti ai lavori era un nome noto quello di Giovanni Paganini Marana, 54 anni, originario di Chiavari, già vicepresidente di Assofiduciaria ed esperto in temi di finanza, specie nel rientro dei capitali frutto di sospetta evasione. La sua morte, avvenuta venerdì scorso, rimane ancora avvolta nel mistero. L’uomo si è gettato dalla finestra del suo ufficio romano senza lasciare un biglietto. Il caso, di cui si sta occupando il commissariato di polizia di Prati, è stato rubricato in fretta come un gesto inspiegabile.

L’altro ieri nella capitale in forma molto discreta è stato celebrato l’ultimo saluto, cui ha partecipato una piccola folla composta da familiari e colleghi che con lui avevano attraversato una fetta di carriera. Fra gli amici, che nei giorni scorsi hanno espresso il proprio cordoglio alla famiglia, prevale lo choc, per una tragedia arrivata apparentemente senza avvisaglie.

La ricostruzione del dramma è necessariamente sommaria. Giovanni Paganini Marana, venerdì, è nel suo ufficio romano di via Nicotera. Spesso il centro delle sue attività di consulenza è nella capitale, anche se il ruolo in alcune società liguri lo porta sovente a Genova. Nel pomeriggio, secondo quanto riferito da alcune fonti a lui vicino, l’uomo ha un lungo confronto con un importante cliente. Mezz’ora dopo, senza alcun preavviso, apre la finestra della stanza e si getta nel vuoto. Sul posto interviene il personale del 118.

Vengono effettuati alcuni tentativi di rianimazione ma ben presto diventa chiaro che per lui non c’è più niente da fare. Sul caso avviano una breve indagine la polizia. Ci sono pochi dubbi sulla volontarietà del gesto. Restano molti interrogativi sulle ragioni. Il finanziere non ha lasciato messaggi. Di recente, fanno sapere gli inquirenti, aveva affrontato una separazione, anche se nella cerchia di conoscenze più intime l’ipotesi sentimentale non è la prevalente.

Paganini Marana rivestiva ruoli in una decina di realtà finanziarie e industriali. Per la società di intermediazione immobiliare Abbacus Sim Spa, di cui era vicepresidente del consiglio d’amministrazione, gestiva un portafoglio d’investimenti importante. Anche se il suo mandato sembrava esser giunto al capolinea, un altro elemento al vaglio degli investigatori.

A Genova era presidente della fiduciaria Cfg e consigliere della holding Ingefin spa, tutte società sede in via XX settembre 33. Era un esperto di paradisi fiscali, sul cui funzionamento aveva tenuto una serie di seminari. Sempre in tema di finanza era stato anche consulente del Parlamento. Nel 2010 proprio l’attività della Cfg aveva destato l’attenzione della struttura antiriciclaggio della Banca d’Italia.

La fiduciaria genovese figurava nell’elenco di una serie di piccole compagnie che avevano in consegna la regolarizzazione di 4,5 miliardi di “nero” tramite San Marino. La compagnia genovese era la cassaforte d’un tesoretto del valore di 193 milioni di euro: «Avevamo un accordo con la Cassa di risparmio di Rimini», aveva spiegato allora Giovanni Paganini Marana al Corriere della Sera. Dall’ufficio di via XX Settembre ieri è arrivato solo il commento di un’impiegata, che ha spiegato di non poter rilasciare dichiarazioni in assenza di un responsabile: «Siamo tutti molto sconvolti. Questa vicenda è stato uno choc per tutti».

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