Se le banche centrali emettessero moneta digitale, consentendo ai cittadini di effettuare transazioni direttamente tramite un sistema dell’istituto nazionale, le criptovalute perderebbero ogni ragione di esistere. E’ quanto sostiene l’economista Nouriel Roubini, da tempo fra i maggiori critici delle criptomonete e dei loro presunti benefici.
Per comprendere come potrebbe cambiare il sistema monetario e bancario in seguito a un’eventuale introduzione delle Central bank digital currencies (Cbdc), è necessario chiarire come funziona il sistema dei pagamenti attuale. L’intermediazione dei pagamenti fra famiglie e imprese, ad oggi, coinvolge sempre le banche commerciali: le uniche che possano accedere a loro volta al sistema di pagamenti della banca centrale. Non è possibile, dunque, processare una transazione elettronica, come un bonifico o un pagamento tramite carta di credito (o PayPal), senza passare dalla banca commerciale, che a sua volta si appoggia al sistema di pagamenti centrale. Nemmeno la gran parte delle innovazioni del Fintech come Alipay, Satispay, ApplePay o Paypal aggirano l’intermediazione della banca, e non si basano certo su blockchain o criptomonete.
Il Bitcoin, al contrario, permette di bypassare questo tipo sistema attraverso la blockchain, garantendo riservatezza alla transazione. Ma è qui che entrerebbero in gioco le Cbdc:
“Consentendo a qualsiasi individuo di effettuare transazioni [direttamente] attraverso la banca centrale, le Cbdc diminuirebbero la necessità di contanti, di conti bancari tradizionali e persino di servizi di pagamento digitali. Meglio ancora, queste transazioni non dovrebbero fare affidamento su registri distribuiti “privi di licenza” come quelli alla base delle criptovalute”, ha scritto Roubini su Project Syndacate. In più, sostiene l’economista, le transazioni potrebbero rimanere anonime, fatte salve le richieste delle autorità giudiziarie, come già avviene.
Le monete digitali delle banche centrali, insomma, offrirebbero tutti i vantaggi dei pagamenti digitali sfidando il “mercato” del Bitcoin – ma anche delle stesse banche private. Ed è per quest’ultima ragione che si starebbe ragionando con cautela su questa innovazione.
Infatti, le banche commerciali per fare il proprio lavoro hanno bisogno dei depositi, i quali costituiscono la base per l’emissione del credito (che è un valore multiplo rispetto all’ammontare dei depositi). Se ai cittadini fosse consentito di aprire un conto “digitale” presso la stessa banca centrale, il conto presso una banca privata diverrebbe opzionale e smetterebbe di essere una necessità. Di conseguenza, alle banche commerciali verrebbero tolte le basi per esercitare il proprio lavoro di intermediazione finanziaria. Tutto il sistema bancario andrebbe ripensato. Roubini non ha eluso la questione.
“Se tutti i depositi bancari privati dovessero essere trasferiti nei Cbdc, le banche tradizionali dovrebbero diventare ‘intermediari di fondi a prestito’, prendendo a prestito fondi a lungo termine per finanziare crediti a lungo termine come i mutui”, ha affermato Roubini. “In altre parole, il sistema bancario a riserva frazionaria sarebbe sostituito da un sistema bancario ‘ristretto’ amministrato principalmente dalla banca centrale. Ciò equivarrebbe a una rivoluzione finanziaria – una che avrebbe molti vantaggi. Le banche centrali si troverebbero in una posizione molto più agevole per controllare le bolle del credito, arrestare le corse agli sportelli, prevenire disallineamenti delle scadenze e regolamentare le decisioni rischiose di credito/prestito da parte delle banche private”.
Questo modello presenta alcuni punti di contatto, peraltro, con il progetto bocciato nel referendum dello scorso giugno in Svizzera. Anche nella proposta di “moneta sovrana”, infatti, i cittadini avrebbero potuto aprire conti direttamente presso la banca centrale, con lo scopo di superare la creazione di moneta bancaria tramite il principio della leva frazionaria.