Economia

Rubei (myMeta): digitale, la rivoluzione del settore bancario

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In seguito alle tensioni relative al settore bancario ed il collasso di alto profilo della Silicon Valley Bank, il ruolo della digitalizzazione nel settore bancario e non solo è tornato in primo piano.

Se anni fa la corsa agli sportelli per ritirare i propri soldi era un processo relativamente lungo, ad oggi si tratta di un solo click. Grazie all’avanzamento della digitalizzazione o in questo caso del “digital banking”, i processi che prima richiedevano tante ore, ora sono disponibili in pochi minuti.

Insieme ad Andrea Rubei, ceo di myMeta, una piattaforma di “digital adoption” ovvero adozione digitale, tutta italiana, abbiamo fatto il punto sul processo di trasformazione digitale in Italia per il settore privato e della PA, la competitività delle società italiane rispetto ai propri “peers” europei e le sfide per il settore. Ed infine il ruolo del digitale nel collasso di SVB.

A che punto sono le società italiane con la trasformazione digitale? Crede che siano stati fatti passi in avanti anche nella pubblica amministrazione visti gli investimenti relativi al PNRR?

La trasformazione digitale è un processo in corso in tutto il mondo, che sta cambiando la natura del lavoro e della vita quotidiana. In Italia, come in molti altri paesi, l’accelerazione della trasformazione digitale è stata guidata dalla pandemia di COVID-19, che ha costretto molte imprese e organizzazioni pubbliche a rivedere i propri modelli di lavoro e a investire in tecnologie digitali per mantenere le operazioni in corso.

Per quanto riguarda la PA, la trasformazione digitale è stata una priorità negli ultimi anni, con l’obiettivo di migliorare i servizi pubblici e semplificare i processi amministrativi. Il piano triennale per l’informatica nella PA 2021-2023, lanciato dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, mira a migliorare l’accessibilità e l’efficienza dei servizi pubblici digitali, a promuovere l’innovazione nella PA e a creare un ecosistema digitale sicuro e affidabile.

Tuttavia, ci sono ancora sfide da affrontare, come la mancanza di competenze digitali in alcune aree geografiche e settori industriali, la scarsa collaborazione tra le imprese e la PA, e la necessità di migliorare la sicurezza e la protezione dei dati.

Finora, il PNRR ha avuto alcuni impatti rilevanti, come l’avvio di programmi e progetti specifici per la digitalizzazione di imprese e PA, la promozione dell’economia digitale e dell’innovazione tecnologica, e il sostegno all’istruzione e alla formazione digitale.

Ci sono alcune metriche che possono aiutare a valutare l’impatto del PNRR sulla trasformazione digitale in Italia come l’indice di digitalizzazione delle imprese italiane, in base all’uso di strumenti digitali e alle competenze digitali dei lavoratori. Secondo il rapporto “Digital Maturity” di AgID del 2021, l’indice di digitalizzazione delle imprese italiane è aumentato del 3,1% rispetto al 2020, raggiungendo il valore di 47,2 su 100. Appare evidente come ci sia ancora molto lavoro da fare.

Guardando alla PA, l’indice di e-government misura il grado di digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana, in base alla disponibilità di servizi online, alla qualità dell’interazione con i cittadini e all’efficienza dei processi amministrativi. Secondo il rapporto “E-Government Index 2022” dell’ONU, l’Italia si posiziona al 37º posto su 193 Paesi.

Sotto il punto di vista della trasformazione digitale le società italiane sono competitive rispetto all’estero?

L’Italia ha fatto progressi significativi nella trasformazione digitale, ma ci sono ancora molte sfide da affrontare. Secondo uno studio di Digital 2021, il 60% della popolazione italiana utilizza Internet, ma solo il 23% delle imprese italiane ha un sito web. Questo rispecchia il tessuto del nostro sistema economico dove le PMI hanno un ruolo fondamentale nell’economia ma hanno maggiori difficoltà nel digitalizzarsi. Le piccole e medie imprese in Italia spesso mancano delle risorse e della conoscenza per adottare tecnologie avanzate.

Ci sono ancora molte sfide per le aziende italiane nella loro competitività rispetto alle colleghe europee. Uno dei principali ostacoli è la cultura aziendale tradizionale in Italia, che spesso si oppone al cambiamento e alla sperimentazione. Per migliorare la competitività delle aziende italiane, ci sono alcune misure che possono essere adottate. Innanzitutto, le aziende italiane dovrebbero concentrarsi sulla formazione dei dipendenti e sulla creazione di una cultura aziendale che favorisca l’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie. In secondo luogo, le autorità italiane dovrebbero continuare a creare incentivi fiscali e finanziari per le imprese che investono nella trasformazione digitale.

Secondo i dati dell’OCSE del 2021, l’Italia ha destinato il 2,9% della sua spesa pubblica totale alla digitalizzazione nel 2020, rispetto al PIL. La Francia ha invece destinato il 3,3% della sua spesa pubblica alla digitalizzazione, mentre la Germania ha destinato il 3,6% della sua spesa pubblica alla digitalizzazione.

Nell’ambito privato, secondo una ricerca dell’Osservatorio NetConsulting del Politecnico di Milano del 2021, in Italia la percentuale del fatturato destinata alla digitalizzazione era del 5,5%, in linea con la media europea del 5,4% ma lontana dalle eccellenze come la Svezia che vede il 7.7% del fatturato dedicato alla digitalizzazione.

Qual é il ruolo della trasformazione digitale per il settore finanziario e in primis bancario?

La trasformazione digitale sta rivoluzionando il settore finanziario e bancario in particolare, offrendo nuove opportunità e sfide per le banche e le istituzioni finanziarie.

Il ruolo della trasformazione digitale per il settore bancario può essere riassunto in tre principali aree di impatto: esperienza del cliente, efficienza operativa, innovazione e competizione.

Se l’efficienza operativa è una condizione necessaria per la sopravvivenza delle banche, non è assolutamente sufficiente a garantire la loro competitività futura. La trasformazione digitale consente alle banche di innovare e rimanere competitive in un ambiente in rapida evoluzione. La digitalizzazione consente alle banche di collaborare con le startup fintech e adottare nuove tecnologie, come l’Intelligenza Artificiale e il Machine Learning, per offrire servizi innovativi e migliorare l’esperienza del cliente.

Negli ultimi anni sono emerse numerose startup fintech che stanno rivoluzionando il settore finanziario, mettendo in difficoltà gli incumbent tradizionali.

I nomi piú famosi sono Revolut, Transferwise, N26, Robinhood. Hanno tutte in comune il fatto di avere al massimo 10 anni di vita e di aver fondato il proprio modello di business su un punto di debolezza del sistema finanziario, sfruttandolo a proprio vantaggio. Nessuna industria è immune a questo processo di rivoluzione industriale, neanche quelle fortemente regolamentate come il settore finanziario.

L’emergere di nuovi player nel settore finanziario ha creato alcune preoccupazioni riguardo alla regolamentazione e alla protezione dei clienti. In particolare, poiché le startup fintech si trovano in una posizione di vantaggio rispetto agli incumbent tradizionali in termini di innovazione e flessibilità, ci sono preoccupazioni che possano essere meno regolamentate rispetto alle banche tradizionali, il che potrebbe rendere il mercato più volatile e i clienti meno protetti.

Molte startup fintech stanno lavorando a stretto contatto con i regolatori per garantire la conformità alle norme e per creare un ambiente regolamentare più stabile e prevedibile. Infine, molti dei nuovi player fintech stanno adottando politiche di tutela dei clienti, come la garanzia dei depositi, la crittografia dei dati, e la protezione dei dati personali, per garantire che i loro clienti siano al sicuro.

Lei é d’accordo con le affermazioni che il digital banking insieme a tecnologia e social hanno avuto un ruolo nel collasso di SVB?

Non sono d’accordo su questa osservazione. SVB era tutt’altro che una banca tipica, poiché si concentrava sull’essere la banca al centro dell’ecosistema del venture capital, per definizione ad alto rischio. Per la SVB è andato tutto bene finché la Federal Reserve ha tenuto i tassi bassissimi. Quando la Banca Centrale americana ha dato il via ai rialzi dei tassi di interesse, le cose si sono complicate.

Il costo del denaro è aumentato e gli investimenti dei venture capital sono calati. Per continuare a crescere, le startup hanno quindi iniziato a bruciare la cassa e a ritirare i propri depositi dall’istituto. Così la Silicon Valley Bank si è ritrovata a far fronte a prelievi sempre più frequenti.

Ci si dovrebbe interrogare più sulla sostenibilità della stretta sui tassi dopo anni a tasso zero, sia per l’equilibrio finanziario delle imprese indebitate, dove il settore high-tech è il più esposto.