MILANO (WSI) – I bond subordinati – e non solo i titoli azionari – di Mps sono svenduti a piene mani stamattina. Dopo la nota di Mps sul piano di conversione di bond subordinati in azioni e l’analisi di IG che parlavano di una conversione volontaria che sa di ultimatum, sono iniziate a circolare voci di una possibile conversione obbligatoria dei bond lower tier II. Ciò ha spinto diversi investitori, in particolare nel settore retail, a vendere i titoli in perdita e chiudere la partita calo anche le azioni, che sono anche finite in asta di volatilità. Se al referendum costituzionale dovessero vincere i no, i piani di Mps potrebbero saltare e prima ancora di un ricorso al regime di bail-in, la banca potrebbe fare la fine delle banche greche, ossia sarebbe sottoposta a una ricapitalizzazione forzata.
A Piazza Affari Mps ha ceduto il 4% prima di recuperare, in un contesto per la verità molto debole per tutte le banche italiane, che hanno perso il -9% in una settimana e il -44% da inizio anno. L’indice Ftse delle banche ha toccato punte al ribasso di quasi il -3%. Quanto alle obbligazioni bancarie, i bond subordinati Lower Tier II con scadenza 30 novembre 2017 hanno toccato i 68,37 euro (-2,8% da ieri, -16,6% dagli 81,98 euro del 27 ottobre), quelli con consegna 15 gennaio 2018 si sono attestati a 68,77 euro (-0,8% dalla vigilia, -14,57% dagli 80,5 euro del 27 ottobre), quelli con scadenza 21 aprile 2020 sono a 65,55 euro (-3,4% da ieri, -17,14% dai 78,99 euro del 27 ottobre) e quelli con maturity 9 settembre 2020 a 66,49 euro (-2,2% dalla vigilia, -16,63% dai 79,76 euro del 27 ottobre). I bond subordinati con scadenza maggio 2018 quotano invece 60 euro (-4,3% da ieri, -16,66% dai 72 euro del 27 ottobre).
L’aumento di capitale pluri miliardario di Mps presenta dei punti oscuri e delle incertezze legate all’esito del referendum costituzionale: l’eventuale sconfitta del governo – come indicano i sondaggi – aprirebbe una crisi politica in Italia e rischia di allontanare gli investitori dal nostro paese. Dall’estero non si fidano delle parole rassicuranti delle autorità italiane sul fatto che anche una vittoria del fronte del No non avrebbe conseguenze.
Dopo lo choc Brexit e la vittoria contropronostico di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, la sensazione dei grandi player internazionali di mercato è che una vittoria del no possa creare un clima caotico e causare un’instabilità politica.
Di riflesso si teme che anche i fondi e gli investitori che hanno espresso interesse a sottoscrivere titoli Mps vogliano tornare sulle loro decisioni se al voto del 4 dicembre dovesse prevalere il No alle riforme, con possibile caduta del governo o per lo meno rimpasto. Chi ha già preso un impegno potrebbe anche ricorrere a una risoluzione del contratto già preso.
Proprio per evitare un simile scenario, i vertici della banca starebbero prendendo precauzioni. Secondo quanto riferito da fonti finanziarie alle agenzie di stampa, circolano rumor di mercato su una seconda ipotesi alla quale Mps potrebbe ricorrere: costringere a una conversione in azione dei titoli subordinati. Un ricorso a una misura del genere, seppure estrema, consentirebbe alla banca di affidarsi a un intervento pubblico propedeutico all’aumento di capitale di dimensioni ridotte.
Ma è proprio il timore di una conversione vincolante dei bond lower tier II in azioni che sta spingendo i piccoli investitori che detengono a preferire la soluzione della vendita in perdita pur di chiudere la posizione sui titoli subordinati. Allo stato attuale, se chi ha in portafoglio bond subordinati di Mps si rifiuta di partecipare alla conversione obbligatoria, rischia in ogni modo di incorrere nel bail-in, con conseguente confisca del proprio credito.