Russia e Arabia Saudita alleate per mandare in pensione l’Opec con l’ok del presidente Trump. Ne scrive oggi il Wall Street Journal riferendosi ad uno studio realizzato dal Re Abdullah Petroleum Studies and Research Center (Kapsarc), un think tank saudita.
Lo studio in sostanza è una rivisitazione ad ampio spettro sull’Opec e sull’eventualità che la domanda di petrolio un giorno si esaurisca. Come il mercato reagirà se la domanda dovesse scendere a tal punto da portare allo scioglimento dell’Opec? Lo studio dà come risposta allora un’alleanza strategica tra il Regno e Mosca. Da due anni infatti Mosca e Riad si sono molto avvicinate, collaborando per riequilibrare un mercato molto volatile. Da Riad però controbattono che almeno nel breve periodo non c’è alcun dibattito sullo scioglimento dell’Opec.
Certo è che lo scioglimento dell’Opec avrebbe l’ok indiscusso degli Usa che da tempo accusano l’organizzazione di manipolare i prezzi. Dal canto suo il ministro del Petrolio saudita, Khalid al-Falih,ha smentito l’indiscrezione.
“Non stiamo affatto considerando di eliminare l’Opec. Il motivo per cui li chiamano think tank è perché vogliono pensare fuori dagli schemi.
Oggi inoltre il ministro russo dell’Energia Alexander Novak ha dichiarato che Mosca ha in programma di firmare un accordo di partnership con l’OPEC e che sarà discusso nella prossima riunione del 6 dicembre.
Fondamentali indicano un ulteriore calo dei prezzi
Lato mercati secondo DWS “le dinamiche della domanda e dell’offerta indicano per il futuro un ulteriore indebolimento del prezzo”. In più di sei settimane, i prezzi al barile sono diminuiti di 20 dollari, il più grande calo dall’inizio del 2015.
Sono almeno due i motivi principali. Darwei Kung, Head of Commodities presso DWS, nota che l’OPEC ha fatto bene a gestire la produzione per ridurre le giacenze mondiali; ora sono tornate approssimativamente in linea con il dato medio su 5 anni. “L’OPEC ha guadagnato credibilità in termini di paesi membri che si attengono alle quote di produzione dichiarate. Tuttavia, il regime delle quote termina quest’anno”.
“Con fattori quali l’incertezza dell’efficacia della sanzione iraniana, l’aumento della produzione da parte della Russia e dell’Arabia Saudita e l’imminente risoluzione dei problemi produttivi in paesi come Libia e Nigeria, la credibilità conquistata dall’OPEC ha ripreso a vacillare. Inoltre, una debolezza temporanea in alcune grandi economie continua a preoccupare per un rallentamento maggiore, che ovviamente avrebbe importanti conseguenze sulla domanda di petrolio. Detto ciò, la differenza totale a 6 mesi tra la domanda e offerta indica un ulteriormente indebolimento in futuro, come mostra il nostro “grafico della settimana”.
“L’interpretazione di ciò che sta accadendo sul mercato petrolifero indica anche un altro fenomeno: non molto tempo fa, l’aumento dei prezzi del greggio era considerato una minaccia per altre attività finanziarie. Il petrolio più costoso tende a far salire l’inflazione e può indurre le banche centrali a politiche monetarie più severe. Ora anche un calo del prezzo provoca preoccupazioni. Accontentare tutti non è mai facile, come dice il vecchio proverbio”.