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S&P 500 a 2.000 punti in due anni. E dopo?

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NEW YORK (WSI) Il quinto anniversario della caduta di Lehman è in queste settimane l’occasione per riflessioni sulla Grande Recessione, sulle sue cause e sullo stato attuale del mondo. In realtà, la storiografia della crisi è solo al suo inizio e nemmeno fra cento anni ci sarà accordo tra gli studiosi. La produzione di libri e studi sulla Grande Depressione degli anni Trenta, del resto, è più vivace che mai e molti dei punti fermi che si pensava di avere raggiunto (una sorta di compromesso storiografico tra lettura keynesiana e friedmaniana) sono di nuovo in discussione, con un’attenzione particolare agli anni Venti.

Il paradosso di questo settembre 2013 è nel fatto che nella psicologia collettiva la ripresa, quella vera, sta cominciando adesso, mentre nelle valutazioni di borsa l’uscita dalla crisi è iniziata quattro anni e mezzo fa. Nelle crisi normali, il grande pubblico e i mercati si accorgono insieme della fine del temporale e del sereno che ritorna. Il pubblico riprende subito a spendere e compra in particolare case e automobili, mentre le imprese riprendono a investire. Pubblico e imprese, a loro volta, sono aiutati dalle banche, che riprendono subito a fare il loro mestiere, che è quello di concedere mutui e finanziamenti. I mercati, dal canto loro, festeggiano la ripresa comprando borsa e vendendo bond.

Nella Grande Recessione non è stato così per molti motivi. Le imprese, soprattutto in America, sono state velocissime nel licenziare e molto lente nel riassumere. In questo modo si sono salvate e hanno anzi fatto salire i loro margini di profitto. La crescita degli utili è stata notata subito dalle borse, che salgono infatti dal marzo 2009. La particolarità della Grande Recessione è stata poi quella di essere anche (e soprattutto) una crisi bancaria. Cariche di titoli tossici, le banche hanno cessato di erogare finanziamenti per mutui e case. Le famiglie hanno così dovuto subire un doppio colpo, quello della perdita del posto di lavoro e quello del taglio del credito bancario. Niente mutui e niente acquisti di case, con conseguente caduta del loro valore e ulteriore effetto depressivo sulla psicologia delle famiglie. Le banche centrali, per tenere in piedi le banche e permettere loro, un giorno, di riprendere a erogare credito, hanno tenuto i tassi a zero e immesso liquidità in misura mai vista. I bond di ogni ordine e grado sono saliti di prezzo.

Ecco dunque spiegate le due anomalie, quella degli spiriti animali dei consumatori fino a ieri ancora depressi e quella dei bond sempre più forti, almeno fino alla fine dell’anno scorso. Il tutto mentre l’Sp 500 è passato in quattro anni e mezzo da 666 a 1690, crescendo di due volte e mezza. Ora siamo nella fase in cui il grande pubblico sta uscendo dalla psicologia della crisi e dell’emergenza e sta finalmente interiorizzando quella della ripresa. L’auto in garage, la stessa da prima della crisi, appare improvvisamente decrepita e il figlio grande rimasto in casa per tutti questi anni scopre (o viene invitato a scoprire) che è giunto il tempo di uscire dal nido. In America il figlio ha finalmente un lavoro, anche se è un part time da McDonald’s. Il padre, alla sua età, aveva già un lavoro vero, ma il part time è comunque sufficiente per potere andare in banca e farsi finanziare l’acquisto di una macchina usata. La banca è meno terrorizzata di prima e gli dà i soldi per l’auto. Per quelli per la casa bisognerà aspettare ancora un po’. Per averli, il part time dovrà essere diventato un lavoro fisso. Per darli, la banca dovrà avere finito di pagare le multe per i mutui concessi nel 2007-2008 e di vendere le case pignorate. Ci vorrà ancora del tempo, ma poi la grande macchina dell’immobiliare si rimetterà in moto.

Torna, nel pubblico, la disponibilità verso l’investimento azionario. Il problema è che la borsa è già (quasi) triplicata. Per alcune metriche molto serie, come il rapporto tra prezzo e utili aggiustato per il ciclo, è già cara. Non carissima, ma cara. Ma come, pensa l’investitore che guarda sconsolato i suoi bond che scendono di prezzo, mi sono appena accorto che sta iniziando la ripresa e mi trovo la borsa già cara? Le altre volte non era così. Ed ecco presentarsi in tutta la sua tristezza quella che GaveKal definisce, citando il film con Meryl Streep, la scelta di Sophie. Mi tengo del cash che non rende niente e dei bond destinati a scendere di prezzo o rincorro una borsa già cara?

Il problema, per i prossimi cinque anni, è tutto qui. Non è l’economia globale, che verrà trainata dal rimorchiatore americano, quello più potente. Non è l’Europa, che pure dovrà affrontare la stagnazione di una parte del nord (Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia) oltre alla crisi strutturale del sud. Non è la Cina, che ha seri problemi strutturali ma ha anche una leadership capace. Non è il Giappone, che finché ha Abe si inventerà fuochi d’artificio a ripetizione. Non è l’energia, che sarà sovrabbondante.

Il problema, per chi investe, sarà tutto dentro il mercato. Come cavalcare un rialzo azionario già maturo con una Fed amica, ma sempre meno amica. Prendiamo un problema alla volta e iniziamo con le valutazioni di borsa. La metrica del P/e aggiustato per il ciclo (in pratica il prezzo di un titolo diviso per la media decennale degli utili aggiustati per l’inflazione) è molto utile per capire se ci troviamo in un’area di sotto o di sopravvalutazione, ma si ferma lì. Le borse possono restare care o a buon mercato per anni o decenni. A meno di non accettare di operare solo due o tre volte nell’arco della propria vita (comperando in caso di sottovalutazione estrema e vendendo a bolla già matura) bisogna rassegnarsi a vivere in un mondo imperfetto e non particolarmente sicuro.

Oggi, dicevamo, siamo in un’area di sopravvalutazione moderata, quanto meno in America. Il professor Shiller, che ha ripreso da Graham e Dodd e perfezionato questa metrica, sostiene anche che i margini non hanno spazio per espandersi ulteriormente. Molti, come Kostin di Goldman Sachs o Lee di JP Morgan, respingono questa ipotesi, che a noi sembra però ragionevole. Margini stabili, tuttavia, non impediscono utili per azione in espansione se cresce il fatturato e se si continuano ad acquistare azioni proprie. L’acquisto di azioni proprie, è vero, aumenta la leva (e quindi il rischio) delle società che si vanno a comprare, ma prima che si possa arrivare a livelli pericolosi come quelli pre-crisi occorrerà ancora del tempo. Solo con la crescita ipotizzata degli utili e senza nemmeno scomodare un’ulteriore espansione dei multipli, molte case posizionano ormai l’SP 500, fra due-tre anni, sopra 2000. Lee si spinge fino a 2200. Il più aggressivo resta ancora Birinyi, che già nel 2010 ipotizzò un livello finale di 2400 che allora sembrava posto in un universo parallelo. Birinyi, in realtà, si limitò a trascrivere con il pantografo i grandi bull market precedenti che avevano visto, tipicamente, quadruplicare le quotazioni.

Alle potenzialità dell’azionario si contrappone la miseria del cash. Rosenberg fa notare che la Fed, ufficialmente, vorrebbe un’inflazione di poco superiore al 2 per cento. Ipotizzando quindi un’inflazione al 2.5, in dieci anni il potere d’acquisto del cash (o di un T-bill che rende zero) si ridurrebbe del 30 per cento.
Certo, nel 2018 i T-bill renderanno più di adesso, diciamo tra il 2 e il 3 per cento. Scommettiamo anche, però, che l’inflazione sarà superiore al 2.5 per cento. Quanto ai bond, quelli fino a cinque anni permetteranno di recuperare l’inflazione. Quelli più lunghi esporranno a perdite in conto capitale.

Quanto detto fin qui presuppone un’economia americana che, a partire dall’anno prossimo, passerà stabilmente dal 2 per cento di crescita al 3 e un’economia europea che passerà dallo zero all’uno. Nell’assenza di notizie di agosto, ha però fatto molto rumore un’analisi di Michael Feroli (Il futuro non è più quello di una volta) che ipotizza un abbassamento strutturale della crescita potenziale americana all’1.75. Meno crescita demografica, dice Feroli, e minore crescita della produttività (scarsi investimenti, ridotta innovazione tecnologica) agiranno come un freno a mano per molti anni a venire.

Solo due osservazioni rispetto a questa tesi. La prima è che il rapporto tra demografia e crescita va nelle due direzioni. Meno immigrazione, dice Feroli, porta meno crescita. Più crescita, osserviamo noi, porta più immigrazione. La seconda è che l’economia americana ha ancora molte risorse inutilizzate. Per i prossimi tre anni, se non di più, potrà crescere a una velocità superiore a quella potenziale. Una volta esaurite le risorse inutilizzate ci potremo eventualmente rassegnare alla triste crescita dell’1.75. Intanto godiamoci questi tre anni.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.