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Sale attesa per mossa Bce all’americana: acquisto titoli stato? Non esattamente

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ROMA (WSI) – La Banca Centrale Europea (Bce) è pronta a fare di più e a ricorrere a misure non convenzionali per la bassa inflazione e la crescita debole, che pesa sul mercato del lavoro con una persistente elevata disoccupazione. Mario Draghi, da Jackson Hole, rassicura: Francoforte è pronta ad aggiustare la propria politica monetaria e ad agire a sostegno dell’economia anche al di là delle misure già annunciate in giugno.

Ma avverte: la politica monetaria accomodante è centrale ma non si sostituisce ai governi e alle riforme strutturali nazionali, sulle quali è necessario premere per favorire la crescita e l’occupazione. Le riforme strutturali sul lavoro «non sono più rinviabili». Un avvertimento per spronare i governi ad agire che include anche toni più «morbidi» sull’austerity: l’attuale flessibilità delle regole fiscali può anche essere «usata per meglio affrontare la debole ripresa e far posto ai costi delle necessarie riforme» afferma Draghi, sottolineando che le politiche di bilancio potrebbero essere più favorevoli alla crescita.

Leggi il discorso integrale di Mario Draghi a Jackson Hole.

È possibile ridurre infatti – ricorda Draghi – le tasse in modo «neutro», ovvero senza aumentare il deficit, così come è possibile un maggiore coordinamento a livello europeo e come potrebbe essere appropriato «un ampio programma di investimenti pubblici» in linea con la proposta del presidente della Commissione Europea.

L’intervento di Draghi a Jackson Hole segue la gelata arrivata dal Pil tedesco e francese, che si sono andati a sommare al rallentamento dell’Italia, presentando un quadro difficile per l’area euro, che rischia – secondo il premio nobel all’Economia, Joseph Stiglitz – un decennio perso stile Giappone. «La posta in gioco per l’unione monetaria è alta», aggiunge Draghi, precisando che politiche monetarie e di bilancio accomodanti «non possono sostituire le necessarie riforme strutturali».

Le politiche di bilancio possono essere migliorate e far guadagnare tempo ma alla fine le riforme servono. La Bce è pronta a fare la sua parte, a spingersi oltre le misure già annunciate e sulle quali Draghi si dice «fiducioso». «Lanceremo il nostro primo Tltro in settembre, che ha già generato significativo interesse dalle banche» e gli acquisti di ABS dovrebbero contribuire ulteriormente all’allentamento monetario. Dall’annuncio delle misure «abbiamo già visto movimenti dei tassi di cambio che dovrebbero sostenere sia la domanda aggregata e l’inflazione, che ci aspettiamo siano sostenute dalle diverse strade della politica monetaria negli Stati Uniti e nell’area euro».

Il riferimento è alle diverse strade della Fed e della Bce, con la banca centrale americana che si avvia a chiudere il piano di acquisto titoli e apre a un possibile aumento dei tassi di interesse prima delle attese se i progressi sul mercato del lavoro saranno più rapidi del previsto. Allo stesso tempo, se i progressi saranno lenti, i tassi resteranno bassi più a lungo.

Leggi il discorso integrale di Janet Yellen a Jackson Hole.

Il presidente della Fed, Janet Yellen, si mantiene quindi cauta e parla di una «ricetta non semplice» per la politica monetaria in questo contesto. Un `dilemma´ quello dell’occupazione per la Fed: nonostante i passi in avanti, una ripresa completa del mercato del lavoro resta difficile data la «profondità dei danni» causati dalla recessione. «Significativi fattori strutturali hanno avuto impatto sul mercato del lavoro, incluso l’invecchiamento della popolazione e altri trend demografici», quali la «polarizzazione», ovvero la riduzione dei posti di lavoro con competenze medie.

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Cosa farà Mario Draghi per salvare l’economia europea?, si chiedeva ieri il ‘Financial Times’ dopo aver sottolineato che il problema da affrontare non è più solo quello di salvare l’euro. Il dibattito delle ultime settimane, al di qua e al di là dell’Oceano, ha spostato l’attenzione dall’interrogativo sul futuro della moneta unica a quello sulla tenuta della stessa costruzione europea. Mantenendo però un punto fermo, l’attesa per le mosse della Bce e del suo presidente, Draghi appunto, anche se l’interessato ad ogni suo intervento insiste sul fatto che per uscire dalla crisi la politica economica deve essere attiva almeno quanto la politica monetaria.

Ma tant’è, gli occhi sono tutti puntati su Francoforte e sulla prossima riunione del consiglio direttivo della Banca centrale europea del 4 settembre e le attese sono per un’iniziativa decisa, straordinaria, sulla base di uno scenario congiunturale più critico di quello previsto dagli economisti della stessa Bce. In particolare la discesa dell’inflazione, significativamente più rapida di quella immaginata a Francoforte anche solo un mese fa ed il peggioramento dell’economia che è in arretramento pure in Germania, con buona pace delle più rosee stime della Bundesbank.

Il più severo scenario congiunturale costituirà dunque l’elemento centrale nella discussione delle iniziative dell’Eurotower che hanno comunque un corollario. La politica monetaria «resterà molto accomodante per lungo tempo», ha detto e ribadito Draghi anche in questi giorni con l’obiettivo di assecondare l’indebolimento della moneta unica che non può peraltro prescindere dall’azione della Federal Reverse Usa, e che è prezioso per dare fiato alle esportazioni del Vecchio continente e per frenare la discesa dei prezzi.

In cima alla lista c’è la decisione già annunciata di far partire, il 18 settembre, la prima operazione (ce ne saranno 8 nell’arco di un biennio) di prestiti alle banche, finalizzata alla concessione di finanziamenti alle imprese e alle famiglie (esclusi i mutui immobiliari). Si tratta di prestiti a 4 anni a tassi appena superiori a quelli minimi di riferimento (0,15%) che potranno ammontare, per l’intero periodo, anche a mille miliardi.

C’è da vedere se le banche potranno contare su una domanda adeguata da parte delle imprese ma in ogni caso, a differenza delle immissioni di liquidità a cavallo tra il 2011 e il 2012, gli istituti di credito difficilmente saranno tentati dal dirottare i fondi ottenuti dalla Bce nell’acquisto di titoli di Stato, la cui convenienza da allora è molto diminuita.

Draghi tiene molto a questa iniziativa che potrebbe dare una spinta alla ripresa (per l’Italia il governatore Ignazio Visco ha ipotizzato un beneficio di un punto di Pil nell’intero periodo) come a quella, più lontana nel tempo, dell’acquisto di titoli bancari cartolarizzati (Abs) ed è difficile che la voglia depotenziare con altre concomitanti misure forti. Come potrebbero essere gli interventi non convenzionali, quali il quantitative easing , cioè l’acquisto sul mercato di titoli pubblici e privati, sollecitati in questi ultimi giorni da più parti (anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha esortato la Bce «a fare la sua parte»).

Il banchiere centrale italiano ci tiene all’indipendenza delle decisioni della Bce, ma è anche un pragmatico e se, come ha detto più volte, l’analisi dei dati congiunturali globali ed europei facesse emergere, come sembra, l’urgenza dell’azione ed il dibattito nel consiglio direttivo dovesse confermare la necessità di misure più espansive, allora c’è «da scommettere» che le decisioni forti arriveranno senza indugio.

Con tutte le problematiche del caso, prima fra tutti la scelta dei titoli da acquistare visto che in Europa il mercato privato dei bond non è ricco come quello statunitense e considerato che la banca centrale tedesca ma non solo è pronta a battersi perché non vengano favoriti Paesi come l’Italia, la Francia o la Spagna. I benefici sarebbero però concreti: l’acquisto di titoli, in grande sostanza, determinerebbe un abbassamento dei tassi a medio e lungo termine creando un incentivo per gli investimenti che a loro volta rilancerebbero l’occupazione facendo quindi salire i salari e a seguire i prezzi.

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Fed e Bce faccia a faccia Draghi spera che Yellen scelga la linea dei falchi

Una politica restrittiva sul dollaro aiuterebbe l’euro

di TONIA MASTROBUONI

BERLINO – Il primo discorso di Janet Yellen al simposio di Jackson Hole, oggi, sarà importante per almeno due motivi. Nonostante il titolo accademico – «riesaminando le dinamiche del mercato del lavoro» – la numero uno della Federal reserve darà indicazioni sulle sue prossime mosse di politica monetaria. Ma sarà Mario Draghi, anche lui atteso all’incontro annuale dei banchieri centrali nel Wyoming per la prima volta come presidente della Bce, ad ascoltarla con particolare interesse. Perché le decisioni della Fed – i tempi del rialzo dei tassi di interesse – influenzeranno la traiettoria della Bce. Se Yellen si mostrerà “falco”, se farà capire che intende accelerare sull’aumento del costo del denaro, la reazione sarà un rafforzamento del dollaro contro l’euro: lo scenario maggiormente auspicato da Draghi.

Il numero uno dell’Eurotower, dal canto suo, ribadirà che la Bce, in un momento in cui i dati economici sollevano dubbi sulla fondatezza delle attese per una ripresa prima della fine dell’anno e la deflazione sta lambendo anche i Paesi più grandi, resta accomodante. Draghi farà capire che la Bce è pronta ad andare anche oltre le misure annunciate a giugno, a imbracciare un nuovo bazooka dopo lo scudo anti-spread del 2012, ossia il quantitative easing, l’acquisto massiccio di titoli pubblici e privati.

Apparentemente, i banchieri centrali si presentano a Jackson Hole divisi. Fed e Banca d’Inghilterra, forti dei dati economici incoraggianti, vanno verso mosse restrittive, la Bce arriva con un messaggio da “colomba”: la promessa di mantenere i tassi bassi molto a lungo e aggiungere altre armi all’arsenale delle misure straordinarie.

Di solito, la schizofrenia nel tono e nei tempi tra banche centrali crea guai e, in effetti, ai primi segnali del predecessore di Yellen, Ben Bernanke, di una fine delle politiche iper-accomodanti, Draghi aveva reagito con irritazione, ritenendo l’annuncio prematuro. Oggi, invece, a causa della situazione sui mercati valutari, un cenno ulteriore in quella direzione da parte della Fed aiuterebbe la Bce perché fermerebbe la corsa dell’euro.

A giudicare dal dollaro ai massimi da un anno di ieri, le attese vanno in quella direzione. I lavoro negli Usa migliora più velocemente del previsto: la disoccupazione è calata a luglio al 6,2%. Ma anche il Pil, che ha raggiunto il 4% nel secondo trimestre, incoraggia un’interpretazione ottimista dell’andamento dei prossimi mesi, dunque una politica monetaria più restrittiva. Tuttavia dalle minute dell’ultima riunione del Fomc emerge anche un «inusuale spaccatura» della banca federale americana, come l’ha definita uno dei migliori analisti a livello internazionale, Mohamed El-Erian. E c’è anche chi teme che l’inflazione possa alzare troppo la testa.

Altri governatori non sono invece convinti che la ripresa sia sufficientemente solida e ritengono i dati sull’occupazione ancora troppo fragili: preferirebbero un allungamento dei tempi di uscita dalle misure di emergenza. Il titolo del discorso di Yellen è interessante: una delle principali novità è l’obiettivo della disoccupazione come target di politica monetaria, adottato da Banca d’Inghilterra e Fed. Passo ancora impensabile nella vecchia Europa della Bce, dove l’obiettivo dichiarato continua ad essere l’inflazione.

Ricorda El-Erian che «molti economisti autorevoli avvertono che il mondo occidentale potrebbe precipitare in un equilibrio di bassa crescita noto come secular stagnation», una crescita zero o quasi zero. È?uno dei motivi per cui gli occhi del mondo sono puntati oggi sui banchieri centrali più potenti del mondo, come i deus ex macchina di una crisi che non sembra finire mai.

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