Roma – Un 11 settembre sui mercati, una nuova guerra combattuta non con le armi, ma con gli strumenti finanziari. Obiettivo: il collasso dell’Eurozona. Tattica: colpire non più i “piccoli Piigs”, come Grecia, Irlanda e Portogallo, ma prendere come bersaglio l’Italia, la terza economia europea e anche il candidato che si presta meglio a diventare preda delle speculazioni, visto il debito pubblico enorme, le continue bagarre politiche, la perdita di credibilità del premier Berlusconi.
L’Europa è a un punto cruciale della sua esistenza: bisogna fare qualcosa e subito, come afferma lo stesso George Soros, che individua la soluzione del problema negli eurobond, avvertendo: “La Germania e gli altri Paesi con la tripla A devono, in un mondo o nell’altro, creare un sistema di euro-obbligazioni. In caso contrario l’euro crollerà”; e che non manca di polemizzare con la Germania: “Solo la Germania può rovesciare la dinamica distruttrice europea”. Dunque che la Merkel si decida, e faccia qualcosa, visto che alla fine, insieme all’amico Sarkozy, è lei che comanda.
Eè questo il motivo per cui c’è grande trepidazione per cosa “la coppia” dirà nel meeting di emergenza fissato a martedì prossimo, 16 agosto. Riusciranno i due leader a presentare un piano credibile, che faccia bene all’intera Europa? O gli egoismi nazionali avranno ancora la meglio? E, passando all’Italia, fino a quando la Bce, con l’acquisto dei titoli di stato italiani, sarà capace di mettere uno stop all’attacco speculativo (sempre in agguato)?
Sono mesi che Wall Street Italia avverte che il nostro Paese è la pedina capace di far crollare l’intera Eurozona, di creare anche una crisi sistemica globale, come diversi articoli della stampa internazionale hanno previsto e come dimostrano anche i numeri dell’esposizione verso i titoli di stato italiani e spagnoli da parte del sistema finanziario francese. Secondo il Telegraph, l’Italia “potrebbe portare l’Europa al breaking point”, ovvero a un punto di rottura.
Altre previsioni confermano lo scenario da guerra che l’Europa sta vivendo: secondo il gruppo di ricerca Centre for Economics and Business Research, la probabilità che l’euro rimanga così come è, nei prossimi dieci anni, è pari al 20%.
Di seguito gli espedienti per salvare l’Europa: espedienti che sono stati studiati, valutati, analizzati per mesi e che si sono concretizzati solo in stanche parole. Il motivo di questa paralisi decisionale è sempre, come dice Soros, la Germania.
SOLUZIONE NUMERO UNO: POTENZIAMENTO DEL FONDO SALVA STATI
Un rospo da ingoiare per la Germania. Ma dove si troverebbero i soldi?
Potenziare il fondo di emergenza EFSF per aiutare l’Italia e la Spagna è una manovra tanto inaccettabile quanto non necessaria. Così ha tagliato corto Christopher M. Schmidt, consigliere economico del governo tedesco. “Non sarebbe accettabile una situazione in cui economie di grandi dimensioni, del calibro di Italia e Spagna, si rifugiassero sotto l’ala europea”, ha affermato.
Il motivo di questa presa di posizione ha una natura tutta politica; nazioni come la Germania non possono essere responsabili dei debiti illimitati di altri paesi, spiega Schmidt, in un editoriale pubblicato sul quotidiano Handelsblatt. Il consigliere è ben consapevole che il governo tedesco sta perdendo sempre più consensi tra i suoi elettori. “Che i paesi facciano le riforme”, insomma, e che la smettano di vedere la Germania come un grande salvadaio europeo.
I numeri che i politici tedeschi guardano ogni giorno sono, d’altronde, da brivido: insieme, i debiti pubblici di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia raggiungono una cifra tanto astronomica quanto mostruosa, pari a €3.350 miliardi: si tratta di un valore pari al 35% del pil dell’intera Eurozona ed equivalente al 130% del pil tedesco.
Ma anche se la Germania alla fine dicesse di sì, il Fondo salva stati riuscirebbe davvero ad aiutare Italia e Spagna? Concepito per essere un istituto temporaneo, che sarà sostituito nel 2013 dallo European Stability Mechanism (ESM), l’EFSF dispone di una capacità di prestito pari a €440 miliardi e raccoglie finanziamenti, emettendo propri bond. Queste obbligazioni vengono emesse con un rating a tripla A, grazie alle garanzie concesse dai membri dell’Eurozona, che dispongono di rating più elevati.
Dubbi sulla sua effettiva capacità di aiutare Italia e Spagna sono più che leciti, visto che l’Italia da sola ha un debito pubblico di €1,9 trilioni, equivalente al 120% del suo Pil. Gilles Moec, economista di Deutsche Bank, ha fatto poi un paragone tra Italia e Spagna: un piano di salvataggio pluriennale a favore della Spagna potrebbe costare più di €290 miliardi, una somma che l’EFSF riuscirebbe a trovare con l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale. Ma il Fondo non sarebbe capace di finanziare l’Italia, che avrebbe bisogno invece di quasi 490 miliardi di euro.
INTEGRAZIONE FISCALE NELL’UE
Andrew Lilico, direttore della società di consulenza Europe Economics, noto per aver gestito importanti progetti per la stessa Commissione Europea, spiega la difficoltà di realizzare il progetto con “l’antipatia” che la Germania ha verso qualsiasi concetto di unione fiscale. “I tedeschi non daranno il loro consenso a nessun accordo che costringa la Germania a dare soldi all’Italia, permettendo a quest’ultima di usarli a suo piacimento; né i tedeschi desirano in alcuna misura garantire le spese pubbliche dell’Italia”. Io penso che una integrazione fiscale sia uno scenario irrealizzabile. “Semplicemente, l’unica molla che potrebbe indurre i tedeschi a prestare soldi è avere fiducia nei paesi che ne beneficerebbero: tra questi, non c’è quello governato da Silvio Berlusconi.
CREAZIONE E LANCIO DI UN EUROBOND
In un suo editoriale pubblicato sull’Irish Independent, il giornalista di business e finanza Emmet Oliver afferma che gli ultimi eventi potrebbero scatenare una “pressione irresistibile” sui leader europei, affinché alla fine scelgano la soluzione degli eurobond. D’altronde, “gli acquisti di titoli di stato italiani e spagnoli, che la Bce sta effettuando, possono garantire solo un sollievo temporaneo. La soluzione, nel lungo termine, rimane il meccanismo dell’eurobond: in questo modo, l’Europa potrebbe finanziarsi collettivamente, attraverso l’emissione di una categoria unica di titoli di stato, che diventerebbero anche una vera alternativa ai Treasury americani”.
Tuttavia, continua Oliver, “c’è l’opposizione, che possiamo descrivere a ragione come un veto, della Germania”. E qui è la stessa rivista tedesca Der Spiegel che chiama la Merkel a rapporto: o l’Eurozona sarà trasformata in un’unione fiscale, che emetterà gli eurobond, o i paesi più indebitati dovranno essere cacciati dall’euro, con conseguenze imprevedibili per quelli che rimarranno. Der Spiegel ammette poi che l’ipotesi dell’eurobond “rimane un tabù nei corridoi del governo tedesco”. E la ragione è semplice: “gli eurobond avrebbero un tasso di interesse più alto dei Bund tedeschi attuali, visto che l’Europa nel suo complesso non ha lo stesso merito creditizio della Germania; questo significa che, “anche se i rendimenti degli Eurobond fossero superiori a quelli tedeschi di un solo punto percentuale, il costo aggiuntivo da sostenere per la Germania sarebbe di €20 miliardi l’anno, nel medio termine”.
EURO DI SERIE A (PAESI FORTI) E SERIE B (PIIGS)
E’ almeno dalla metà di giugno che Francia e Germania, i veri leader dell’Unione Europea, stanno esaminando l’ipotesi di spaccare l’Eurozona in due metà. La prima, una “Super euro” zona , come l’ha chiamata un funzionario europeo, in una intervista al Daily Telegraph, includerebbe i paesi dai conti pubblici più solidi, come Francia, Germania, Olanda, Austria e Finlandia. I ben noti Piigs -l’acronimo inventato per indicare Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – andrebbero a finire invece in un’area di serie B.
“La filosofia alla base di questo piano, denominato piano B, è che i paesi più forti dell’area euro prenderebbero le distanze da quelli che non possono essere in grado di salvare – ha detto il funzionario – Si tratterebbe comunque di un atto disperato, in quanto questa soluzione non sarebbe considerata tra quelle ideali ma come il minore dei mali”.
Cosa accadrebbe, però, in questo scenario? Di fatto, l’euro, così come lo conosciamo, verrebbe “sdoppiato”. Alla moneta unica andrebbe ad affiancarsi una nuova valuta: a quel punto, l’euro “vecchio” , o Euro 2, continuerebbe a essere utilizzato dai Piigs, mentre i paesi virtuosi utilizzerebbero un euro “nuovo”, l’Euro 1. Per riflettere i fondamentali dei paesi, l’euro vecchio potrebbe poi essere fortemente svalutato, rispetto alla nuova moneta emessa, del 35% circa, stando alle previsioni di Warwick McKibbin, funzionario senior presso Brooking Institution, il think tank, con sede a Washington.
Il risultato, per fare un esempio, sarebbe che un tedesco, un francese o un austriaco avrebbero un potere di acquisto maggiore, rispetto a un italiano, uno spagnolo o un portoghese. Per lo stesso prodotto importato dagli Stati Uniti, gli italiani e gli altri popoli dell’Euro 2, dovrebbero insomma spendere di più.
L’idea sarebbe caldeggiata non solo dalla cancelliera tedesca Merkel, che ha perso molti consensi proprio per le sue dichiarazioni pro-euro e pro-bailout, ma anche dal presidente francese Nicholas Sarkozy, che sta diventando sempre più irritato all’idea che paesi come Spagna e Italia possano trascinare a fondo la Francia, già nei giorni scorsi oggetto di speculazione sul rischio che, dopo gli Usa, sia lei a dover perdere la tripla A.
UN MINISTERO DELLE FINANZE UNICO
Siccome gli stress test non sono credibili finche’ i leader europei accettano il fatto che alcuni governi potrebbero non riuscire a rifinanziare i loro debiti, una soluzione – avanzata dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet – e’ definire le perdite che gli investitori subiranno e creare un sistema che garantisca che il debito venga restituito.
Come sostiene Bloomberg View, la strada migliore da percorrere verso la credibilita’ e la stabilita’ e’ emettere nuovi bond garantiti da un ministero delle finanze unificato con potere fiscale. Gli investitori scambierebbero il debito dei governi per gli eurobond a tassi scontati che cancellerebbero parte del debito che pesa sul groppo degli investitori. Il debito sovrano rimanente sarebbe sostenibile. Banche e investitori conoscerebbero cosi’ l’ammontare delle loro perdite.
E’ un’idea brillante almeno quanto le proposte di integrazione fiscale e finanziarie di Alexander Hamilton ai tempi della giovane repubblica americana. Se implementate in maniera corretta, sistemerebbero i problemi strutturali esistenti fin dalla nascita dell’area euro.
CREARE UN BOARD DI CONTROLLO ESTERNO
Un’altra soluzione, piu’ drastica ancora, sarebbe quella di consentire alle autorita’ Ue di scavalcare le decisioni degli stati membri che non riescono a far fronte a budget fiscali insostenibili, creando ad esempio un board esterno di controllo per paesi in crisi come la Grecia.
Questo approccio e’ stato gia’ utilizzato nel passato per paesi molto deboli (come in Usa e’ successo per le citta’ di Washington e New York), ma in Europa sarebbe rischioso. Non avrebbe infatti una legittimita’ politica e cio’ rischierebbe di provocare le proteste della gente, che sarebbe spinta a scendere in strada per esprimere il proprio dissenso.
(Ha collaborato Daniele Chicca)