Economia

Salvataggio banche venete: costi alle stelle

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Oltre ai 17 miliardi già sborsati, potrebbe salire di ulteriori 1,4 miliardi di euro il conto presentato ai contribuenti per salvare le due banche venete. Come scrive Libero Quotidiano a poche ore dal crac di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, gli esperti di Palazzo Madama hanno messo a disposizione dei parlamentari chiamati a votare il decreto legge sul salvataggio dei due istituti, uno studio dettagliato in cui vengono messi nero su bianco gli aspetti dubbiosi di tutta l’operazione.

A preparare questo studio i funzionari del Servizio bilancio del Senato. In primis si mette in luce come la procedura selettiva messa in atto per decidere l’acquirente delle due banche venete – poi rivelatosi Intesa Sanpaolo. In realtà era stata già svolta ancor prima che il decreto legge venisse affondato.

Una pagliacciata quindi un bando preconfezionato ad hoc per la banca di Carlo Messina che poi acquisterà al prezzo simbolico di 1 euro le due banche. Il tutto con spese anticipate dal Ministero dell’economia tanto che Intesa non ha speso nulla e ha ricevuto per comprare due banche venete un assegno di 4,8 miliardi dal Tesoro e l’impegno di ulteriori 12 miliardi sotto forma di garanzie.

Ma un altro aspetto rivelato dallo studio dei tecnici di palazzo Madama desta particolari attenzioni e riguarda la liquidazione dei cosiddetti attivi, e in particolare dei prestiti marci.

La questione riguarda da vicino le finanze pubbliche, visto che tocca allo Stato garantire ed eventualmente coprire, con fondi statali, i non improbabili buchi aggiuntivi. Buchi che si potrebbero materializzare a stretto giro. Stiamo parlando di 17,8 miliardi di crediti deteriorati.

Per Bankitalia  la percentuale di recupero di quei prestiti non rimborsati è stimata al 46,9% ma i tecnici del Senato giudicano troppo ottimista la previsione dell’ autorità di vigilanza. Provando a fare un pò di calcoli:

Se si applica la stima di Bankitalia, la cifra recuperabile è di 8,3 miliardi. Se, invece, si considera la percentuale più bassa, il bottino scende a 6,9 miliardi. Calcolatrice alla mano, vuol dire una differenza di circa 1,4 miliardi. È questa la cifra che il Tesoro sarebbe costretto a sborsare a qualora l’ obiettivo del 46,9% non fosse centrato. Somma che, come già accennato, va aggiunta ai fondi già prenotati sul bilancio pubblico.

In concreto, come ricordato anche nell’analisi dettagliata del Senato, una “iniezione di liquidità di circa 4,8 miliardi” (di cui 3,5 miliardi per assicurare gli affidamenti alla clientela e 1,2 miliardi per la gestione degli esuberi) oltre che la concessione di garanzie statali per un ammontare massimo di circa 12 miliardi. Nel complesso si parla di 16,8 miliardi che potrebbero diventare ben 18,2 miliardi, con la quota extra paventata dal Senato.