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Italicum, Salvini attacca Consulta. E il voto terrorizza i peones

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Matteo Salvini sbotta, e stavolta il suo bersaglio è la Consulta che ha dichiarato che si esprimerà sull’Italicum il prossimo 24 gennaio. Così si sfoga, a margine della consegna degli Ambrogini a Milano:

“Se avessimo una Corte Costituzionale normale in un Paese normale, non ci metterebbe altri due mesi a partorire la sentenza su una legge che è evidentemente sbagliata”. E ancora, “se si vuole si può votare all’inizio dell’anno: Parlamento nuovo, governo nuovo, e poi sì che vai in Europa con la testa alta e con orgoglio. Come fanno ad andare in Europa dopo quello che è successo Alfano, Padoan, Renzi? Giusto Obama gli telefona ancora”.

Dal teatro Dal Verme a Milano, dove è in corso la consegna degli Ambrogini, il leader della Lega invoca a voce alta, come ha fatto nelle ultime ore insieme a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, le elezioni anticipate:

Voto subito con qualsiasi legge elettorale altrimenti chiameremo in piazza i cittadini”. Anche perchè “trentadue milioni di persone che hanno votato domenica scorsa non possono essere prese in giro, quindi voto subito”. Il dito è puntato contro l’attività dei Renzi, Napolitano e Mattarella che hanno portato l’Italia a queste “condizioni incredibili” e i cui errori “stanno rubando solo altro tempo ai cittadini italiani”.

Di qui la minaccia:

“Voto subito oppure ci rivediamo in piazza”.

Intervistato da Il Messaggero, Salvini commenta anche un possibile accordo tra la Lega e il M5S di Beppe Grillo:

“Se qualcuno ha una mezza idea di fare questo alzi il telefono e lo proponga, visto che io più volte nei mesi passati ho chiesto un confronto sui temi come Europa, tasse, immigrazione e non è mai arrivata una risposta. Ci sono punti su cui andiamo d’accordo e punti come l’immigrazione e la sicurezza che ci dividono pesantemente a livello nazionale”.

Si fa sentire anche Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, che scrive in un post su Facebook. Anche Meloni scalpita per il voto:

“L’Italia è paralizzata dalla cialtronaggine del duo comico Renzi-Alfano che ci governa. Questi due geni che abbiamo come premier e ministro dell’Interno non hanno preso in considerazione l’ipotesi che al referendum potesse vincere il no. Così oggi l’Italia si ritrova senza legge elettorale al Senato e con una legge elettorale da riscrivere alla Camera”. Continua Meloni: “Eppure la possibilità che gli italiani bocciassero la pessima riforma costituzionale non era così remota e non è stato proprio come assistere a una imprevedibile invasione aliena. Ma niente, il governo ora alza le braccia al cielo, scuote la testa e dice: “E ora come si fa? È un bel guaio, non abbiamo una legge per andare a votare. Mi vengono i brividi a pensare a tutte le altre cose che il governo non ha previsto e non ha preso in considerazione. L’Italia non può permettersi questa approssimazione e questa incompetenza. Presenteremo noi una proposta di legge elettorale per Camera e Senato, ma si torni subito a votare”.

Dal canto suo il Pd, nel giorno della riunione della direzione, lancia un appello per bocca di Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, che interviene nella trasmissione Le voci del mattino su Radio Uno.

“Abbiamo l’obbligo morale di dare al Paese una legge elettorale che duri almeno per i prossimi trent’anni. Non è possibile che ogni partito cambi il giudizio in relazione alla convenienza di breve termine. Trovo surreale che ora da un lato il M5S definisca l’Italicum una buona legge, dopo averla definita eversiva, e che per una parte del Pd si possa anche andare al voto con due leggi diverse tra Camera e Senato: una follia“. Boccia è convinto: “La fretta di queste ore nel chiedere il voto mi pare più figlia di diverse ipocrisie che di un ragionamento politico nell’interesse del Paese. Il M5S sostiene il caos per il caos, Salvini ha fretta di votare perché non vuole nascano altre leadership nel centro destra, nel Pd alcuni sperano di evitare il congresso ma questo ennesimo tentativo di prendere una scorciatoia lo affronteremo in direzione. In questo momento, per fortuna di ogni italiano, il pallino è nelle mani del Presidente della Repubblica che deciderà con la sua saggezza nell’interesse esclusivo del Paese”.

Il caso peones: temono per poltrone e pensioni

Nel clima convulso in cui è precipitata l’Italia dopo la crisi politica provocata dalla vittoria del No al referendum, ci sono poi loro, i peones, ovvero i deputati che in caso di elezioni anticipate potrebbero tornarsene a casa. Sempre Il Messaggero affronta la questione in un articolo dal titolo inequivocabile: “Il panico tra i 400 peones: con le urne addio pensione e persi 4 anni di contributi“. Si tratta di “un partito trasversale, sotterraneo” che ha come “obiettivo inconfessabile” quello di “restare in carica almeno 4 anni, 6 mesi e 1 giorno, la soglia fissata dal regolamento in vigore il 1° gennaio del 2012”.

Conferma La Notizia:

Ex grillini, ex montiani, ex leghisti. Ma anche onorevoli di grandi partiti come Pd e Forza Italia vivono tra color che son sospesi. Senza dimenticare il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. La condizione del partito dei cosiddetti peones, i parlamentari meno noti che rischiano fortemente di non essere rieletti, è precipitata dopo il referendum: si profila la perdita di indennità e benefici. Un “partito” decisamente trasversale, che si fa largo tra i gruppi parlamentari minori ma trova anche la sponda di Onorevoli di Pd, Lega e Forza Italia: in particolare molti tra gli azzurri temono di non farcela a rientrare in Parlamento. In questi casi i meno intenzionati a tornare alle urne sono i rappresentanti dei piccoli gruppi. E solo alla Camera se ne contano a frotte”

Tutto questo, mentre sullo sfondo si spaccano i vari inciuci e alleanze:

L’Udc (Unione dei democratici cristiani) di Lorenzo Cesa lascia Area popolare, siglando il divorzio dall’Ncd (Nuovo centrodestra). Cesa e l’Udc si erano d’altronde schierati a favore del NO nel referendum costituzionale, contrariamente al SI dato dal partito di Angelino Alfano. Così si legge in una nota congiunta dei parlamentari di Udc e del segretario nazionale Cesa:

“L’esperienza di Area popolare, forse mai decollata, si conclude qui con lo scioglimento dei gruppi e la ripresa di autonome presenze parlamentari”. Da Ap escono quattro deputati, Buttiglione, Binetti, De Mita e Cera, e il senatore De Poli.