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Sanità, quanto pagheresti le cure se la sanità non fosse pubblica

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Il SSN sta attraversando una crisi, con la sanità pubblica in via di sgretolamento e il settore privato in continua espansione. Se il SSN dovesse scomparire del tutto, ci troveremmo a fronteggiare costi elevatissimi per le cure. Come rivela l’Anaao Assomed, il sindacato più rappresentativo di medici e dirigenti del Sistema Sanitario Nazionale, che lancia un allarme riguardo alla tutela del diritto alla salute, poiché ci troviamo in una fase rischiosa.

Stando a una ricerca condotta a giugno 2023, il conto delle cure se in Italia non ci fosse la sanità pubblica, sarebbe notevolmente oneroso: un ricovero nel settore privato potrebbe costare fino a 1.278 euro al giorno. Questo importo è decisamente troppo elevato per un Paese in cui lo stipendio medio si aggira intorno a circa 1700 euro netti al mese.

Quanto verrebbe a costare la sanità

Ma non sono solo questi i costi che saremmo costretti a pagare. Qualche esempio, spiegato in un’indagine condotta d Anaao:

  • Costo di un ricovero: da 422 a 1.278 euro al giorno
  • Costo per la sala operatoria: 1.200 euro l’ora
  • Degenza in un reparto chirurgico: 600 euro al giorno
  • Degenza in un reparto di medicina: 400 euro al giorno
  • Ricovero ordinario post acuzie: 165 euro al giorno

Alcuni esempi di costi per specifici interventi e check-up:

  • Colecistectomia: dai 3.300 ai 4.000 euro, più la parcella del chirurgo, che va dai 3.000 ai 10.000 euro.
  • Check-up cardiologico per donna under 40: 775 euro (con mammografia).
  • Check-up cardiologico per donna over 40: 694 euro (con mammografia).
  • Check-up cardiologico per uomo under 40: 345 euro.
  • Check-up cardiologico per uomo over 40: 395 euro.

La crisi della sanità pubblica

L’Anaao denuncia una situazione al limite nel sistema sanitario pubblico, caratterizzata da una forte crisi. Le cause di tale situazione sono profonde e includono diversi aspetti critici.

L’insufficienza di finanziamenti

Il finanziamento della sanità pubblica italiana affronta una carenza significativa di risorse. Secondo il 18° Rapporto del Crea Sanità, uscito a gennaio 2023, per raggiungere un’incidenza media sul PIL simile agli altri paesi dell’Unione Europea, sarebbero necessari almeno 50 miliardi di euro aggiuntivi (al minimo). Attualmente, la spesa sanitaria del nostro Paese presenta una forbice del -38% circa rispetto agli altri paesi EU, con una diminuzione sia della spesa privata (-12%) che della spesa pubblica (-44%) nel 2021. Tuttavia, tale calcolo è sottostimato. Dal 2000 al 2021, la spesa sanitaria in Italia è cresciuta con un tasso medio annuo del 2,8%, circa il 50% in meno rispetto agli altri Paesi EU di riferimento. Inoltre, anche durante la pandemia, la crescita della spesa è stata meno dinamica rispetto agli altri paesi.

Secondo il Rapporto, nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media EU dell’82,9%. La spesa privata ha raggiunto 41 miliardi di euro (il 2,3% del PIL, contro una media EU del 2,0%): oltre 1.700 euro a nucleo familiare (5,7% dei consumi).

La frammentazione regionale e territoriale

Un altro fattore determinante è l’autonomia differenziata e l’eccessiva frammentazione regionale e territoriale. Questo crea disuguaglianze nella tutela del diritto alla salute, poiché esso diventa dipendente dal luogo di residenza, con drammatiche differenze di aspettativa di vita e persone costrette a intraprendere degradanti “viaggi della speranza” alla ricerca di cure adeguate.

Con la riforma del Servizio sanitario nazionale nel 1978, sono state create le unità sanitarie locali, allo scopo di essere più vicini al territorio, alle molteplici esigenze delle realtà allora costituite dai vari ospedali comunali, provinciali e statali. Questa decisione però ha affidato alle regioni la politica della sanità, creando venti politiche sanitarie diverse per ogni regione. La decisione di delegare la gestione delle singole unità sanitarie locali, che oggi vengono denominate ASL o con altre denominazioni, ha avuto un impatto significativo sul sistema sanitario. Questa scelta ha portato alla trasformazione della tutela della salute in una politica di organizzazione sanitaria, dove i vari direttori generali hanno assunto la responsabilità della gestione.

Bilanci in rosso

La situazione della sanità italiana è preoccupante, come evidenziato dalla Corte dei conti nel suo ultimo rapporto di maggio sul coordinamento della finanza pubblica. Le ferite della sanità italiana sono state acuite dalla pandemia di Covid-19, e i problemi persistenti continuano a fare male al sistema.

I conti della sanità italiana peggiorano di anno in anno. Nel 2020, il deficit complessivo era di 800 milioni di euro, ma nel 2021 è salito a 1,025 miliardi di euro e nel 2022 ha raggiunto 1,469 miliardi di euro. Il deficit riguarda ben 15 Regioni, con alcune che hanno bilanci in rosso di diverse centinaia di milioni di euro, costringendole a trovare soluzioni per equilibrare i conti.

Questo fenomeno è presente in tutte le aree del Paese, ma colpisce maggiormente le Regioni a statuto ordinario del Centro-Nord, con Piemonte, Liguria ed Emilia che registrano un disavanzo di 186 milioni di euro. Le regioni del Centro hanno visto crescere il loro disavanzo di 150 milioni di euro, con il Lazio che mostra il peggioramento più marcato. Il Sud presenta il risultato migliore, in particolare la Calabria, che beneficia dell’effetto positivo dovuto al fatto che i suoi pazienti si sono spostati meno verso le regioni del Nord a causa del blocco della mobilità sanitaria durante la pandemia di Covid-19. Le regioni a statuto speciale sono quelle più colpite, con perdite che crescono del 7% nelle regioni del Nord e un peggioramento significativo in quelle del Sud, dove la Sicilia mostra il risultato più negativo, con un disavanzo di 376,2 milioni di euro nel 2022 rispetto ai 179 milioni nel 2021.

E il privato sorpassa il pubblico

Nel 2021, la spesa sanitaria a carico delle famiglie è stata di 36,5 miliardi di euro, un dato allarmante. Inoltre, negli ospedali pubblici le prestazioni fornite a pagamento in intramoenia sono in aumento e quasi la metà dei medici svolge un doppio incarico. Questo fenomeno si ripete in ben 16 regioni del Paese, il che porta a una situazione in cui uno su dieci italiani rinuncia alle cure mediche.

La coesistenza di una doppia anima pubblica e privata nel sistema sanitario potrebbe essere una chiave per superare le disuguaglianze territoriali. Questo suggerisce che l’integrazione tra i servizi pubblici e privati potrebbe rappresentare una soluzione per migliorare l’accesso alle cure mediche e ridurre le disparità tra diverse regioni del Paese. La situazione richiede un’attenzione particolare, poiché il fatto che una parte significativa delle cure venga fornita a pagamento potrebbe rendere l’assistenza sanitaria meno accessibile e meno equa per i cittadini.