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Sauditi affossano petrolio perché temono alleanza Occidente-Iran

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NEW YORK (WSI) – I ministri del Petrolio sauditi e degli Emirati Arabi Uniti continuano a difendere la decisione dell’Opec di mantenere invariata la produzione e mettere così sotto ulteriore pressione i prezzi del petrolio.

Un valore intorno ai 50 dollari al barile fa in realtà comodo agli emirati, perché altererebbe senza però distruggere le economie maggiormente dipendenti dal greggio, riducendo al contempo l’attività legata al gas di scisto. Sfruttando essa le riserve più velocemente, è più difficile fare stime sull’estrazione della materia prima, un’attività che tanto sta prendendo piede in Usa. Per lo meno è più difficile fare stime rispetto alla produzione presso le piattaforme petrolifere, persino quelle offshore.

Se la decisione saudita finisse per autodistruggere i ricavi derivanti dal petrolio e avesse semplicemente un impatto marginale sui livelli di produzione e importazioni della nazione americana, allora non avrebbe chiaramente senso.

Si tratta piuttosto di una mossa strategica sotto il profilo geopolitico, che avrà un grande impatto sul lungo termine. La verità è che i sauditi temono che l’Occidente si allei con l’Iran.

“La sola arma rimasta ai sauditi è fare scendere i prezzi del petrolio, una misura che indebolisce di fatto l’amministrazione Obama. È l’ultima risorsa prima che i sauditi e i turchi invitino Israele a distruggere gli impianti nucleari iraniani”, secondo Conrad Black del National Post.

I ministri del petrolio dei paesi dell’Opec hanno puntato il dito contro gli speculatori e i produttori di oro nero esterni al cartello: è loro la colpa del calo del valore del greggio.

Uno dei problemi maggiori per il mercato del petrolio, secondo l’Opec, è la produzione di gas di scisto. Gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione dello ‘shale’, riducendo dunque come conseguenza le importazioni nel Paese da parte dell’Opec.

I produttori fuori dall’Opec arriveranno alla conclusione che “cooperare per assicurare prezzi elevati per tutti” è nel loro interesse. Con tali dichiarazioni il ministro saudita del petrolio, Ali al-Naimi, ha smentito così che l’Arabia Saudita sta cercando di adottare politiche pensate per danneggiare uno o più nazioni mirate.

Nel confermare il mantenimento dello status quo sugli stessi livelli di produzione attuali, l’Opec ha detto di augurarsi che il mercato finirà per auto regolarsi.

I prezzi del petrolio si sono praticamente dimezzati nell’arco di sei mesi, con il Brent che è anche scivolato sotto i $60 al barile la scorsa settimana, sui minimi in più di 5 anni.

Il ministro al Naimi ha aggiunto che se i paesi che non sono membri dell’Opec vogliono ridurre la produzione, “sono i benvenuti”. Ma “noi non taglieremo, certamente l’Arabia Saudita non lo farà”.

Sempre al-Naimi, intervenuto ad Abu-Dhabi, ci ha tenuto a precisare che il suo stato non lo fa per colpire i suoi vicini. I prezzi si riprenderanno non appena lo farà la crescita dell’economia globale, senza bisogno di alcuni intervento da parte dell’Opec.

Tra le società quotate interessate dagli sbalzi dei prezzi sui mercati energitici si possono citare tante multinazionali del petrolio, tra cui Eni, BP, Chevron, ConocoPhillips, Exxon Mobil, Total e Royal Dutch Shell.

L’Opec ha rinnovato la promessa di mantenere gli obiettivi di produzione a 30 milioni di barile al giorno. Tali livelli dovrebbero pertanto restare tali per sei mesi.

Sui mercati europei al momento i prezzi del greggio provano a recuperare qualcosa. Il Brent supera i 62 dollari al barile, mentre il Wti scambia sopra i 58 dollari.

Fonte principale: National Post

(DaC)