I vincoli imposti dai mercati finanziari e dalla politica interna ed europea limiteranno il margine di manovra di qualsivoglia nuovo governo nel fare retromarcia sulle riforme o nel perseguire una politica economica e di bilancio disinvolta. E’ quanto scrive Scope Ratings, che definisce il rischio Italia come gestibile e smorza i timori che un’eventuale vittoria della coalizione di centrodestra alle elezioni politiche 2022 possa influenzare in modo determinate le politiche fiscali, e aumentare in maniera considerevole il deficit, così come traspare dai programmi elettorali. Questo per diversi motivi.
“Il rendimento del Btp a 10 anni già attorno al 4% implica un margine di manovra molto limitato, se non nullo, per il prossimo governo, alla luce della debole prospettiva di crescita del Paese nel medio termine”, si legge nel rapporto. Ma non solo. “Le alleanze post-elettorali e le configurazioni di coalizione possono facilmente cambiare in un contesto politico fluido come quello italiano e possono quindi ridurre la capacità dell’alleanza di estrema destra di attuare la sua agenda nei prossimi anni” spiegano gli analisti, aggiungendo che il sistema politico italiano mantiene importanti controlli ed equilibri”.
Prima di tutto – spiegano – per modificare la costituzione è necessaria una maggioranza parlamentare di due terzi. Non solo. Il presidente Sergio Mattarella ha un ruolo influente nella gestione delle crisi e si è dimostrato risoluto in passato, ponendo il veto alla nomina dell’euroscettico ministro delle finanze Paolo Savona durante il governo Lega-5 Stelle, nominando il governo Mario Draghi durante la crisi del Covid-19 e convocando elezioni anticipate con breve preavviso a luglio.
In terzo luogo, l’opinione pubblica italiana è in contrasto con alcuni punti programmatici dei partiti più estremi. “La maggior parte degli italiani continua a sostenere l’euro (71%), è favorevole alla stabilità economica e ricorda che i governi populisti precedentemente votati hanno fallito solo pochi anni fa” aggiungono gli analisti, spiegando che non a caso Giorgia Meloni, nelle ultime settimane, si è impegnata alla prudenza economica e fiscale e a sostenere il posizionamento geopolitico eurocentrico dell’Italia.
In questo contesto, l’agenzia conferma l’attuale rating italiano di ‘BBB+’ con outlook stabile. Il rapporto debito/Pil – stimano gli esperti – dovrebbe restare attorno a 145%-150% nei prossimi anni, circa 15-20 punti percentuali oltre i livelli pre-Covid, con elevate esigenze di finanziamento lorde pari a circa 25%-30% del Pil.
La crisi energetica incombe sulle elezioni
E proprio sui titoli di Stato, Matteo Ramenghi, chief investment officer di UBS GWM in Italia, spiega che “la campagna elettorale in Italia sinora non ha creato eccessive turbolenze per i titoli di Stato per via delle promesse di gran parte dei partiti di non aumentare il deficit al di fuori di quanto concordato con l’Unione europea”. L’esperto spiega in una nota che, quelle del 25 settembre, sono elezioni politiche diverse dal solito:
“È la prima volta da oltre 70 anni che si tengono nella seconda parte dell’anno, periodo in cui bisognerebbe lavorare sulla legge di bilancio; il numero di parlamentari scenderà di un terzo; ed è capitato di rado che, come questa volta, i sondaggi suggeriscano la vittoria netta di una coalizione. Inoltre, e questa forse è la differenza più importante, in questi anni è salita di molto la popolarità dell’euro: secondo i sondaggi dell’Eurobarometro di 18 punti percentuali dal 2014. Probabilmente per questo, diversamente dalle elezioni del 2018 o del 2013, non sono emerse posizioni nette contro l’euro o contro l’Unione europea, che dal canto suo ha varato il Recovery Fund dando all’Italia moltissime risorse”.
Un ruolo chiave in queste elezioni è svolto dalla crisi energetica, evidenzia Ramenghi:
“In considerazione dell’elevata inflazione e dell’aumento dei costi dell’energia, tutti i partiti avanzano proposte per attutire l’impatto su famiglie e imprese. Gran parte dei partiti sembra comunque aver compreso che una politica fiscale troppo aggressiva porta a uno spread elevato, sottraendo risorse allo Stato e zavorrando l’intera economia: i tassi elevati pagati sul debito pubblico si trasferiscono al settore bancario e da lì a famiglie e imprese, bloccando gli investimenti. L’implementazione del PNRR è l’altro aspetto critico: accedere alle risorse del Recovery Fund richiede anche la capacità di varare riforme. Finora l’Italia ha rispettato pienamente la tabella di marcia, ma se il nuovo governo rallentasse la corsa si perderebbero punti di Pil per strada“.