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Se la pensione viene dopo il gioco d’azzardo

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ROMA (WSI) – Italiani popolo di santi, poeti, navigatori…e giocatori d’azzardo. Secondo una ricerca di H2 Gambling Capital, il Belpaese si piazza primo in Europa e quarto nel mondo nella classifica dei soldi persi al tavolo verde. Ma cosa c’entra questo con la previdenza complementare?

“Prima di tutto questi dati fanno riflettere sul luogo comune secondo il quale non ci sarebbero soldi per la pensione di scorta, anche se nessuno si nasconde i problemi legati alla crisi”, commenta in una nota Alberto Brambilla ex-sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2006, oggi coordinatore del comitato tecnico-scientifico di Itinerari previdenziali nonché coordinatore della Giornata nazionale della previdenza.

Le statistiche di Itinerari previdenziali dicono, infatti, che in Italia nel 2011 la spesa pro capite per la pensione complementare è stata pari a 664 euro, contro i 1.260 euro dedicati al gioco. Di fronte a tali dati viene normale chiedersi se sia davvero un problema di risorse economiche oppure di informazione e consapevolezza.

“E poi questi numeri ci obbligano a tornare sul tema dell’aumento della tassazione sui fondi pensione per fare alcune considerazioni che denotano quanto la burocrazia e una certa politica siano distanti dalla gente e dal buon senso”. In un momento in cui lo Stato ha bisogno di nuove entrate, come hanno risposto i legislatori? “Hanno pensato di aumentare le tasse sui rendimenti dei fondi pensione, peraltro ancora annuali e non sul riscattato come avviene di norma in tutto il mondo del risparmio gestito”, prosegue Brambilla.

“E’ una mossa che va nella direzione opposta dell’incentivo a crearsi un secondo pilastro previdenziale. Alcuni semplici calcoli dimostrano anche come si possa ottenere molto di più per le casse dello Stato”.

Tanti soldi ma poche tasse per la “Dea bendata”
Nel 2013, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, gli italiani hanno speso 84,7 miliardi in giochi d’azzardo (lotto, superenalotto, Euro Jackpot, Win for life, lotteria nazionale, scommesse sportive e giochi on line, ecc.). A questi numeri, poi, si dovrebbero sommare altri 10 miliardi di gioco illegale.

Se però si calcola la spesa pro capite, l’Italia balza al secondo posto al mondo con 400 dollari persi al gioco ogni anno subito dopo l’Australia con 795 dollari, considerando però che gli australiani hanno un reddito decisamente superiore. Addirittura, secondo una ricerca condotta da NetBetCasino.it in collaborazione con LivePartners, l’Italia con meno dell’1% della popolazione mondiale, deterrebbe il 23% del gioco on line mondiale.

Ma quante sono le tasse che gravano sui giochi? Lo Stato incassa sia dai gestori sia dai giocatori. Ai produttori e gestori di giochi (i maggiori sono Sisal, Lottomatica e Snai) lo Stato chiede: il 53,62% per il Superenalotto, il 50% per il Gratta e Vinci e la Lotteria nazionale, il 23% per Win for Life, solo il 5% per i video giochi e slot machine e il 3% per i tornei di Poker on Line e le scommesse sportive.

Ora, poiché però i giochi si spostano sempre più verso l’on line e le slot, negli ultimi anni gli incassi dello Stato sono stati decrescenti e probabilmente in futuro riscuoterà ancora meno. Ai giocatori, invece, lo Stato chiede il 6% su qualsiasi vincita ma solo se superiore ai 500 euro e il 95% delle vincite non supera tale importo.

I conti non tornano
Insomma, su un patrimonio dei fondi pensione di circa 116 miliardi, ipotizzando un rendimento del 4%, l’aumento di imposta genererebbe circa 23,2 milioni, fra l’altro sottratti in modo disonesto a lavoratori che non possono neppure uscire dai fondi. “Se invece si fossero aumentate dello 0,1% le imposte sui giochi d’azzardo avrebbero portato a casa ben 84,7 milioni.

Se poi avessero tassato anche le vincite fino a 500 euro – conclude la nota – considerando l’alta percentuale delle vincite sotto tale cifra e applicando il classico 6%, si sarebbero potuti raccogliere oltre 3 miliardi”.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Morningstar – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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