Lo scenario di un addio disordinato all’Unione Europea è ancora sul tavolo. A chiarirlo è il segretario alla Brexit del governo inglese. Stephen Barclay non ha fatto altro che ribadire quanto precisato ieri da Theresa May. Il primo ministro aveva specificato che la linea del governo è quella secondo cui in caso di fallimento del “meaningful vote” il parlamento avrà la possibilità di votare sullo scenario di no deal.
In caso di no deal l’impatto sull’economia e sul commercio britannici viene considerato disastroso da molti analisti ed economisti. L’accordo stretto a dicembre da Londra e Bruxelles è stato respinto dai deputati inglesi il 15 gennaio. Pertanto in questo momento il Regno Unito abbandonerebbe il blocco europeo senza che i futuri rapporti tra le due aree siano definiti sul piano legale. In gioco ci sono la circolazione delle persone, il traffico di merci e tutti gli aspetti burocratici.
Il governo calcola che l’impatto su aziende e commercio sarà pesante. In un rapporto di Downing Street si legge che “alcuni prezzi alimentari sono destinati ad alimentare e i controlli alla dogana potrebbero costare alle imprese circa 13 miliardi di sterline l’anno“. Questo in uno scenario di no deal.
Brexit, società impreparate a no deal
L’esecutivo ha anche avvertito i manager d’impresa, dicendo che non ci sono prove che dimostrano che le società siano veramente preparate allo scenario. Per prepararsi all’eventualità che il 29 marzo arrivi senza un’intesa, le autorità dicono di aver intrapreso “azioni significative”.
In realtà è in gioco anche l’ipotesi di uno slittamento di quella data, per dare tempo a Londra di trovare un accordo parlamentare su un testo. Il testo concordato con le autorità europee non piace ai Brexiteer della prima ora, convinti che contenga troppe concessioni all’UE e un confine troppo flessibile e morbido tra le due Irlande.
La premier inglese May ha promesso ai parlamentari che se il suo accordo è respinto, potranno esprimersi sullo slittamento della Brexit e anche sulla possibilità di uscire senza un’intesa (‘no deal’). Cosi facendo May ha evitato una crisi politica interna dopo che la leader dei conservatori ha dovuto far fronte a una serie di le dimissioni di ministri di spicco negli ultimi mesi.
Il parlamento britannico potrà votare una seconda volta sul nuovo accordo stretto con l’UE entro il 12 marzo. Perché uno scenario di no deal si concretizzi, insomma, dovrà essere espressamente votato dal parlamento inglese. Idem per l’eventuale slittamento dell’attivazione dell’articolo 50, prevista per il 29 marzo.