Tramonta il segreto bancario. A partire dal 30 settembre il nostro Paese comunicherà alle autorità finanziarie di 85 Paesi i dati bancari ai fini fiscali della clientela non residente; ne riceverà anche dall’estero, ma, almeno per ora, solo da 60 Paesi. E’ in questi giorni che sta entrando in azione l’accordo, noto come Common reporting standard e la Direttiva europea sulla cooperazione amministrativa che vincolano 101 Stati allo scambio automatico delle informazioni bancarie.
“Siamo di fronte a una svolta epocale spiega”, ha detto al Corriere Fabrizia Lapecorella, direttore generale delle Finanze, “non cade di fatto solo il segreto bancario in molti Paesi, ma dal 2018 l’attività dei paradisi fiscali sarà fortemente ridimensionata. Ora si tratterà di sfruttare al meglio, nella lotta all’evasione, la massa di dati che sarà a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. Lo scambio automatico non riguarda ancora tutti i Paesi che hanno sottoscritto gli accordi e l’individuazione dei beneficiari dei conti intestati a entità non trasparenti è ancora problematica”.
Molti di questi sviluppi hanno tratto dallo scandalo dei Panama Papers dell’anno scorso, una nuova spinta propulsiva, rendendo la vita più difficile a chi cerca riparo nei paradisi fiscali. Per piccoli Paesi come San Marino, da qualche anno uscito dal club dei “cattivi”, conformarsi a norme trasparenti ha portato, dal 2009, ha perdere il 60% dei depositi bancari. E’ l’altra faccia della medaglia.
Per gli italiani che non hanno conti all’estero, sottolinea il dg dell’Abi, Giovanni Sabatini, le ultime novità non cambieranno nulla rispetto a prima: “Gli accordi internazionali, è necessario ripeterlo, riguardano solo gli scambi di informazioni per i conti detenuti da non residenti. Nonostante i passi avanti, rimane comunque una notevole differenza fra chi il segreto non lo ha mai avuto” come l’Italia, dice Sabatini, “e chi, con riluttanza, comincia a smantellarlo adesso”.