Nel 2019 il tasso di occupazione ad un anno dalla laurea sale al 74,1% per chi ha conseguito il titolo di primo livello e al 71,7% per chi ha conseguito il titolo di secondo livello. Così emerge dal 22esimo Rapporto annuale di AlmaLaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati.
Dal confronto con le precedenti rilevazioni il rapporto 2020 evidenzia un tendenziale miglioramento del tasso di occupazione che, rispetto al 2014, risulta aumentato di 8,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 6,5 punti per i laureati di secondo livello.
Chi sono i laureati che lavorano da subito
Tra i laureati magistrali biennali del 2014, intervistati a cinque anni dal conseguimento del titolo, si registrino rilevanti differenze tra i vari gruppi disciplinari. I laureati in ingegneria, nelle professioni sanitarie e in architettura mostrano le migliori performance occupazionali (tasso di occupazione superiore al 90,0%).
Sono, invece, nettamente al di sotto della media i tassi di occupazione dei laureati dei gruppi insegnamento, letterario, psicologico e geo-biologico (il tasso di occupazione è inferiore all’83,0%).
Anche tra i laureati magistrali a ciclo unico, intervistati a cinque anni, si evidenziano importanti differenze: i laureati del gruppo medico hanno le più elevate performance occupazionali (tasso di occupazione pari al 93,8%).
Al di sotto della media, invece, i laureati del gruppo giuridico, dove il tasso di occupazione si ferma al 78,2%. A cinque anni dal titolo, i valori più elevati sono raggiunti tra i laureati magistrali biennali dei gruppi educazione fisica (74,2%), geo-biologico (69,3%), e dei gruppi architettura, scientifico, psicologico e chimico-farmaceutico (superiore al 65,0%)
Il Rapporto Almalaurea conferma dati positivi sulla regolarità degli studi visto che nel 2019 hanno concluso gli studi in corso il 55,7 % dei laureati. Si abbassa l’età alla laurea (in media, inferiori ai 25 anni per i triennali e a 27 circa per i magistrali a ciclo unico e biennali) e crescono anche i tirocini curriculari e, seppur in maniera più contenuta, le esperienze di studio all’estero (rispetto al 2009).
Segnali positivi conclude il rapporto che, tuttavia, non sono ancora in grado di colmare la significativa contrazione del tasso di occupazione osservabile tra il 2008 e il 2014 e che devono comunque essere contestualizzati anche rispetto all’attualità.
Si rileva infatti che coloro che provengono da famiglie più svantaggiate, non solo in termini economici ma anche livello di istruzione dei genitori, studia per meno anni e anche quando arriva a iscriversi all’università sceglie corsi di laurea più brevi. Così nel 2019, prosegue gli studi universitari iscrivendosi a un percorso di secondo livello, il 73,1% dei laureati di primo livello con alle spalle una famiglia in cui almeno un genitore è laureato, rispetto al 54,3% rilevato tra quanti provengono da famiglie con un modesto background formativo.