Società

“Senza tagli niente sgravi”, più sacrifici allo Stato

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ROMA (WSI) – Per fare tagli di tasse a imprese e dipendenti servono tagli di spesa corrispondenti: dopo giornate di lavoro con i ministri economici e alla vigilia del giro di boa più delicato per il governo, quello della legge di stabilità, Dario Franceschini traccia un solco netto e spiega il bivio di fronte al quale si trovano il governo e i partiti.

«Arriviamo a questo snodo cruciale alla fine di un percorso durato cinque mesi, nei quali abbiamo restituito 12 miliardi per il 2013-2015 dopo anni in cui i governi erano stati costretti solo a chiedere. E a pochi giorni dall’ultimo decreto con cui siamo rientrati sotto il limite del 3%. Quando mi guardo attorno e vedo il dibattito sui giornali e le richieste di forze politiche e parti sociali ho però l’impressione che non ci sia la consapevolezza di quanta strada ancora vi sia da percorrere prima che la crescita faccia percepire in concreto i risultati».

Tradotto, il governo deve optare tra due leggi finanziarie possibili, la prima «di manutenzione» in cui fare le cose necessarie senza particolari sacrifici per coprirle, «che possiamo permetterci proprio perché virtuosi, mentre i paesi che hanno sforato il 3% stanno predisponendo manovre dolorosissime imposte dall’Europa». La seconda ipotesi invece è una manovra «di crescita» che «nei prossimi tre anni faccia un intervento importante riducendo il peso della tassazione sui lavoratori e sulle imprese. Ma per reperire le risorse necessarie, siano un miliardo o cinque, serviranno tagli di pari misura alla spesa pubblica che, ovviamente non saranno indolori. Cosa inevitabile, dato che abbiamo scelto di fare la prima manovra dopo anni senza alcun prelievo fiscale su cittadini e imprese».

In che settori andrebbero fatti i tagli, sulla sanità?

«Non voglio creare allarmismi in nessun comparto. Questa è la scelta politica delle prossime ore. Anche perché la stagione dei tagli lineari che colpiscono allo stesso modo la difesa e la scuola l’abbiamo lasciata alle spalle. Questa volta dovrà essere più lo Stato a dare in termini di contenimento della spesa, del sistema dei comuni e delle regioni, nei confronti dei quali anzi va allentato il patto di stabilità interno, per consentire di spendere quello che hanno in cassa facendo lavorare le imprese».

Reggerebbero le larghe intese allo shock di una manovra che incida sulla spesa?

«Andrà deciso cosa fare domani al consiglio dei ministri. È evidente che l’ultima parola sarà del Parlamento, ma mi piacerebbe un percorso diverso dalle vecchie finanziarie in cui ognuno tendeva ad aggiungere un micro intervento territoriale o settoriale, ma piuttosto concentrato sul tipo di scossa che serve al paese per un 2014 finalmente di crescita».

Si rischia un ingorgo in Parlamento tra la finanziaria e i provvedimenti di amnistia e indulto chiesti da Napolitano?

«No: la legge di stabilità ha tempi obbligati, mentre amnistia e indulto richiedono il percorso imposto dall’articolo 79 della Costituzione che prevede la maggioranza dei due terzi dei componenti sul voto di ogni singolo articolo! Un percorso che per poter iniziare ha bisogno a monte di un’intesa tra le forze politiche».

Domanda spinosa: è d’accordo con Napolitano o con Renzi?

«Napolitano con il suo messaggio ha giustamente messo le Camere di fronte all’evidenza di un drammatico problema: il sovraffollamento disumano delle carceri e il rischio di violazione e sanzioni europee. Ed ha proposto una serie articolata di possibili soluzioni, tra cui anche l’amnistia e l’indulto. Le Camere dovranno presto discutere il messaggio, in quella sede le forze politiche dovranno esprimere con chiarezza la loro posizione».

E cosa farà il governo in quel frangente?

«Io penso che il tema amnistia e indulto sia pura materia parlamentare proprio per quel tipo di maggioranza che richiedono. E mentre il Parlamento matura un orientamento, credo che il governo possa accelerare su tutte le altre misure indicate nel messaggio da approvare con legge ordinaria e che in particolare potrebbero incidere su quel 40% di detenuti in attesa di sentenza definitiva, che per la nostra Costituzione sono non colpevoli: per esempio, delimitando molto di più i casi in cui per la custodia cautelare è previsto il carcere anziché i domiciliari».

Ma se Renzi frena così, è difficile che il Parlamento maturi questo orientamento. Sbaglia?

«Mi pare che abbia precisato che le sue parole non erano in alcun modo contro il capo dello stato, ma che riflettono i suoi dubbi su una delle misure contenute nel messaggio».

Lei che si ritiene un alfiere della pacificazione nel Pd come vedrebbe un accordo tra Renzi e Cuperlo dopo le primarie per una gestione unitaria del partito come antidoto alla scissione?

«Non vedo in ogni caso rischi di scissione. Anzi penso che primarie vere di competizione non rendano impossibile un lavoro comune dopo tra i candidati in campo: ricordo che così abbiamo fatto Bersani e io dopo le primarie del 2009».

Dall’ottica del governo, come è stato l’esordio della campagna di Renzi, soft o da picconatore?

«Ha detto che già oggi, ma anche dal giorno in cui diventerà segretario, si impegnerà ad un lavoro di stimolo e di sollecitazione nei confronti del governo: ed una sollecitazione e anche una critica costruttiva è sempre utile».

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