Economia

Servizio nazionale sanitario al capolinea: compromesso il diritto alla tutela della salute

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Presentato, dalla Fondazione Gimbe, il 6° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), dal quale emerge che i princìpi fondanti su cui si poggia – universalità, uguaglianza ed equità – sarebbero stati traditi.

Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe è necessario procedere con una pesante riflessione sullo stato di salute del servizio sanitario nazionale. Il tempo della manutenzione ordinaria è scaduto: ne sono stati sgretolati i princìpi fondamentali ed è stato minato il diritto costituzionale alla tutela della salute. Ma vediamo quali sono i principali problemi della sanità italiana e quali sono le criticità messe in evidenza dalla fondazione Gimbe.

Servizio Sanitario Nazionale: il fabbisogno economico

Nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2023 il fabbisogno economico del sistema sanitario nazionale è aumentato – complessivamente – di qualcosa come 23,3 miliardi di euro. Mediamente siamo davanti ad un aumento medio di 1,94 miliardi di euro ogni anno. I trend, però, sono molto diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), pandemico (2020-2022) e post-pandemico (2023).

Nel 2022 la spesa sanitaria pubblica complessiva è stata pari a 171.867 miliardi di euro: di questi 130.364 milioni sono stati costituiti da spesa pubblica (il 75,9%) e 36.835 milioni di spesa out-of-pocket (21,4%): ossia a carico delle famiglie. Il 2,7% – che corrispondono a 4.688 milioni di euro – è stato a carico dei fondi sanitari e delle assicurazioni.

Nel 2022 il rapporto tra la spesa sanitaria pubblica ed il Pil in Italia è stato pari al 6,8%: siamo al di sotto di 0,3 punti percentuali rispetto alla media Ocse che a quella europea, che si attestano entrambe su un 7,1%. Rispetto alla media dei paesi europei dell’area Ocse il gap è di 873 dollari pro capite (che corrispondono a 829 euro). Considerando che la popolazione residente, secondo i dati Istat, al 1° gennaio 2023 è pari ad oltre 58,8 milioni di abitanti, per il 2022 siamo davanti ad un gap di 51,4 miliardi di dollari, ossia 48,8 miliardi di euro.

L’aumento del gap della spesa sanitaria risulta essere in linea con quello degli altri paesi europei. Ed è perfettamente in linea con l’entità del finanziamento pubblico relativo al periodo compreso tra il 2010 ed il 2019. Durante l’emergenza pandemica, però, questa differenza si è sorprendentemente allargata (ci riferiamo al triennio 2020-2022). La spesa sanitaria pubblica, nel periodo 2010-2019, è stata inferiore a 345 miliardi di euro. Per riuscire a colmare il divario pro-capite con la media dei paesi europei attestato nel 2022, si stima, entro il 2030, un incremento totale di 115,9 miliardi di euro, ovvero a partire dal 2023 un finanziamento costante pari a 14,49 miliardi per anno euro.

Se queste cifre da un lato sono palesemente irraggiungibili per la nostra finanza pubblica – ha commentato Cartabellotta – dall’altro forniscono la dimensione di quanto tutti i Governi abbiano utilizzato la spesa sanitaria come un bancomat, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Considerando sempre la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento e ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL.

Cosa cambia regione per regione

Tra il nord ed il sud Italia c’è una frattura strutturale che compromette l’equità degli accessi al servizio sanitario nazionale. E, soprattutto, determina un importante flusso di mobilità sanitaria tra le regioni meridionali e quelle settentrionali.

L’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze registrate già con la semplice competenza concorrente in tema di tutela della salute.

Il personale dipendente

Secondo Cartabellotta, le fonti disponibili non permettono di analizzare in maniera univoca ed aggiornata la reale forza del sistema sanitario nazionale.

I dati relativi al 2021 verosimilmente sottostimano la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati negli anni 2022-2023 – spiega Cartabellotta -. Ancora, le differenze regionali sono molto rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nelle Regioni in Piano di rientro. Infine, i benchmark internazionali relativi a medici e infermieri collocano il nostro Paese poco sopra la media OCSE per i medici e molto al di sotto per il personale infermieristico, restituendo di conseguenza un rapporto infermieri/medici tra i più bassi d’Europa.

Ma vediamo nel dettaglio i numeri.

Medici

I medici che lavorano nelle strutture sanitarie, nel 2021, sono 124.506. Di questi 102.491 risultano essere dipendenti del servizio sanitario nazionale e 22.015 dipendenti delle strutture equiparate. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia dagli 1,84 di Campania e Veneto a 2,56 della Toscana con un gap del 39,1%. In questo caso il nostro paese è felicemente al di sopra della media OCSE (4,1 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), ma con un gap un rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN.

Infermieri

Anche in questo caso i dati si riferiscono al 2021. Gli infermieri che sono impiegati nelle strutture sanitarie sono complessivamente 298.596:

  • 264.768 risultano essere dipendenti del servizio nazionale sanitario;
  • 33.829 dipendenti delle strutture equiparate.

La media nazionale è di 5,06 per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,59 della Campania ai 6,72 del Friuli Venezia Giulia con un gap dell’87,2%. Questa volta, però, il nostro paese è al di sotto della media OCSE (6,2 vs 9,9 per 1.000 abitanti).

Rapporto infermieri/medici

Sempre nel 20221 il rapporto tra infermieri e medici è di 2,4, con un range che passa da un minimo di 1,83 della Sicilia ad un 3,3 della Provincia autonoma di Bolzano.

Anche in questo caso il nostro paese si colloca molto al di sotto della media OCSE (1,5 vs 2,7) per rapporto infermieri/medici, in Europa davanti solo a Spagna (1,4) e Lettonia (1,2).