MILANO (WSI) – Finalmente una seduta positiva per la Borsa di Milano e le piazze europee dopo che la Banca del Giappone ha sorpreso tutti imponendo tassi di interesse negativi. La decisione ha fatto fare un bel balzo ai listini in Asia, ma solo temporaneamente (vedi grafico sotto), mettendo al contempo in difficoltà lo yen. L’indice Nikkei ha prima guadagnato e poi perso 1.000 punti per poi chiudere a +2,8%. La Bank of Japan ha adottato una tale misura drastica nel disperato tentativo di rivitalizzare l’economia traballante nazionale. Ma Nomura teme per l’impatto negativo che potrebbe avere sugli utili delle banche, in particolare quelle più piccole.
Il Ftse Mib ha chiuso con un guadagno poderoso, +2,57%, a quota 18.657,29 punti. Il listino londinese FTSE 100 ha fatto segnare un progresso dell’1,7% a 6.034.70 punti, mentre il Dax tedesco e il Cac francese si sono resi protagonisti di una seduta leggermente meno positiva (+0,9% e +1,2%).
Gli acquisti sul settore bancario si sono smorzati e Ubi Banca ha perso -1,15%; giù anche Unicredit con -0,23%: Mps +1,22%; molto bene invece Bper +4,40%, BPM +6,87%, BP +7,95%, Intesa SanPaolo ha chiuso invece a +3,66%. Tra i titoli di altri settori FCA -1,40%, Generali +2,17%, Luxottica +3,44%, Prysmian +3,65%, Saipem poco mossa con +0,18%, a fronte del balzo superiore a +16% per i diritti sull’aumento di capitale, Telecom Italia ha fatto +3,79%. Sotto pressione Stm (-1,15%) e Mediaset (-0,45%).
Nonostante gli acquisti odierni, l’indice Ftse Mib rimane tra i peggiori indici benchmark del mondo in gennaio e archivia il mese con una perdita del -13%. Solo sei dei 93 indici azionari principali monitorati da Bloomberg hanno riportato un trend peggiore. Per l’azionario italiano, si tratta del peggior mese dall’agosto del 2011.
Il Ftse Mib ha sofferto sia per la presenza dei bancari che per i problemi inerenti al sistema bancario italiano, che portano il nome di crediti deteriorati. Il progetto della bad bank è stato giudicato dal mercato insufficiente.
Non sono stati forniti abbastanza dettagli sul piano anti sofferenze e le garanzie statali non varranno per i crediti più rischiosi. In certi casi, infatti, alle banche potrebbe proprio non convenire cartolarizzare e vendere le sofferenze.
Se la bomba da 201 miliardi di euro di crediti deteriorati lordi non verrà disinnescata, l’Italia rischia di diventare la nuova Grecia per l’Eurozona e per l’intera ripresa economica mondiale.
Fari puntati sopratutto su MPS, che ha riportato conti contrastati. Se si escludono gli effetti dell’operazione Alexandria con Nomura, la banca avrebbe chiuso con una perdita superiore ai 100 milioni, ma comunque inferiore alle attese degli analisti.
Sullo sfondo rimangono sempre i gravi e annosi problemi delle banche italiane e l’incertezza sul futuro del business petrolifero.
Il tutto mentre negli Stati Uniti la Federal Reserve ha perso la Trebisonda. L’intenzione di Janet Yellen è quella di favorire un ritorno alla normalità dopo anni di tassi zero ai minimi storici, ma proprio nel mese in cui ha imposto il primo storico rialzo dei tassi dopo quasi un decennio, le condizioni esterne e interne sono andate deteriorandosi. Le turbolenze di mercato, legate al rallentamento della Cina e alla crisi delle materie prime, hanno rafforzato il dollaro e messo in ginocchio le aziende del settore energetico. Per l’ex economista della Casa Bianca Austan Goolsbee, e non solo lui, la Fed potrebbe finire per abbassare, anziché alzare, il costo del denaro.
I dati macro su manifatturiero e consumi sono stati deludenti negli ultimi tempi in Usa e lo scenario per il 2016 è a tinte fosche. Anche il mercato del lavoro, in teoria uno dei punti di forza della prima economia al mondo, ha un suo lato debole: i salari rimangono ancora fermi e la qualità dei posti di lavoro creati è messa in dubbio da alcuni economisti, visto anche il tasso di partecipazione alla forza lavoro resta sempre basso, sotto il 63%. E oggi è stato reso noto il dato relativo al Pil Usa, che nel quarto trimestre è cresciuto di appena +0,7%, al di sotto delle attese.
Tra le materie prime, il petrolio si assesta in area 33 dollari al barile in Usa (mercato Wti) dopo una seduta sull’ottovolante, la cui direzione è stata dettata dal rincorrersi delle speculazioni sulle prossime mosse dell’Opec e sull’eventualità di una riunione di emergenza con la Russia e altri paesi che non fatto parte del cartello dei produttori di greggio. Il Brent oscilla sopra quota $34.
I guadagni si sono smorzati, dopo le dichiarazioni provenienti dal ministro russo dell’Energia Alexander Novak, che ha affermato che la decisione di tagliare l’offerta sarà possibile solo se tutte le nazioni che esportano il petrolio troveranno un accordo. Detto questo, il Brent si avvia a riportare la seconda settimana consecutiva di rialzi, segnando la fase rialzista più forte in due mesi. Il contratto è balzato +23% dal minimo in 12 anni testato il 20 gennaio scorso. Dall’inizio del 2016, le quotazioni del Brent sono crollate -8%.
Sul valutario l’euro soffre un calo di quasi -1%, attestandosi poco sopra $1,08, mentre il biglietto verde avanza nei confronti di un paniere di divise rivali. Sulla moneta giapponese guadagna due yen pieni (+1,88%), sopra quota 121.
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