Economia

Sfatiamo il mito: Made in Italy, cosa esportiamo di più all’estero

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Il nostro è il Paese dei campanili, del buon cibo, delle strade deserte quando gioca la nazionale, dei dialetti e delle rivalità tra comuni adiacenti. E’ anche un paese di eccellenza nell’imprenditoria, un faro mondiale di sanità pubblica, la quinta meta turistica globale. In particolare, però, è il paese di falsi miti. E quelli, si sa, sono i più duri a morire. Orizzonti Politici ha inaugurato la rubrica “Sfatiamo il mito”, gli stereotipi più coriacei sull’economia italiana, affrontati e verificati uno per uno.

Tra i concetti più dibattuti nel dibattito politico ed economico figura sicuramente quello del “Made in Italy”, spesso una garanzia di qualità rispetto ai prodotti concorrenziali.
Secondo svariate analisi, tra cui questa del Financial Times, pubblicata nel pieno della “crisi del debito” del 2011, a molte aziende italiane va riconosciuto il merito di essersi adattate velocemente ai cambiamenti nel mercato globale seguiti alla crisi finanziaria del 2008.
Prima del fatidico crollo del mercato immobiliare statunitense infatti, quando la politica economica di gran parte dell’occidente seguiva dinamiche di progressivo abbattimento delle barriere tariffarie, erano in molti a dare per spacciato l’export italiano.

Poste teoricamente fuori mercato rispetto ai giganti asiatici per via dell’alto costo del lavoro, la lentezza burocratica e la mancanza di investimenti che caratterizzano il nostro Paese, il futuro non sembrava limpido per le aziende italiane, da decenni caratterizzate da una produttività ben superiore alla scarsa (rispetto ai livelli europei) domanda interna.

Le aziende italiane sopravvissute all’impatto della crisi hanno dovuto quindi reinventarsi, puntando su una produttività inferiore dettata dai tagli al personale e su una “brandizzazione” della provenienza geografica, che non ha mai smesso di affascinare i consumatori di tutto il mondo. Come sintetizzato da Diego della Valle nel 2011: “sono in molti nel mondo a voler essere noi, e molti a voler pagare per farlo”.

L’export risulta essere quindi una grande risorsa per il presente e il futuro economico del paese. Eppure, sono in molti i falsi miti che circolano tra gli italiani a riguardo di questo settore, dall’eccessivo impatto della corruzione alla totalizzante necessità di delocalizzare per sopravvivere alle fluttuazioni della domanda internazionale. In particolare, però, gli italiani sembrano avere un’idea distorta sulla composizione stessa del nostro export.

Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio Economico del Ministero degli Affari Esteri, i prodotti maggiormente esportati dal belpaese sono medicinali e preparati farmaceutici che, mediamente, coprono circa il 6% dell’export italiano ogni anno. Completano il podio macchine di impiego generale – sistemi di riscaldamento, attrezzature per la refrigerazione e la ventilazione. Gli articoli di abbigliamento, in realtà, rappresentano solo il 4% circa delle esportazioni italiane, essendo il quinto prodotto maggiormente esportato. Una copertura marginale media è data invece da calzature (più del 2%) e bevande (meno del 2%). Coronavirus permettendo, l’interscambio complessivo – somma di import e export – italiano non cessa di crescere dal 2014. Diversamente, il saldo commerciale – differenza tra le esportazioni e le importazioni – ha conosciuto nel 2019 un boom del 35% circa rispetto all’anno delle elezioni politiche. Complici di questo boom un aumento del 2,3% dell’export oltre che una marginale riduzione percentuale dello 0,7% delle importazioni.

L’Italia ha una posizione stabile nella top 10 dei paesi esportatori grazie a quote di mercato sempre vicine al 3% dell’export mondiale. Il 67% delle esportazioni italiane sono destinate al continente europeo, mentre più del 13% sono –negli anni pre-virus– spettate ad Asia ed America. Meno del 4% delle esportazioni italiane sono invece giunte ai confini del continente africano. Nel dettaglio, i principali paesi beneficiari del Made in Italy sono Germania (più del 13% dell’export complessivo), Francia (più del 10%) e Stati Uniti (oltre il 9%). Marginalmente interessati sono stati paesi quali l’India, l’Australia e l’Arabia Saudita. Le prime regioni italiane protagoniste di questo processo di riconoscimento dei prodotti italiani con il resto del mondo sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, contro regioni meno esportatrici quali Molise, Val d’Aosta e Calabria; sono invece, a livello provinciale, maggiormente coinvolte le province di Milano, Vicenza e Torino.

Già prima dello scoppio della pandemia di Covid-19 che per tre mesi ha costretto l’Italia a fermarsi durante il lockdown, erano presenti tensioni politiche e socio-economiche accentuate dall’atteggiamento protezionistico promosso dal Presidente Trump.
Secondo le previsioni iniziali di SACE SIMEST, nel 2020 l’export italiano sarebbe dovuto crescere con un aumento del 2.8% nel 2020 rispetto alle stime di crescita del 3.2% del 2019. A livello settoriale, invece, il maggiore stimolo all’export italiano è dato soprattutto dalla vendita dei beni di investimento, seguito poi da quella dei beni intermedi e agro-alimentari.

Dopo l’avvento della pandemia, gli effetti del lockdown si sono fatti sentire in tutti i settori su scala mondiale, ma il brand del “Made in Italy” sembra resistere alle pressioni del virus proprio tramite l’export. I dati italiani dei primi mesi dell’anno, infatti, sono davvero incoraggianti soprattutto per il settore agro-alimentare: vino e pasta. Quest’ultima, secondo i dati Istat del primo trimestre dell’anno riguardanti l’export, ha registrato a marzo un aumento, per quanto riguarda delle vendite del 21% (circa 97 mila tonnellate esportate in più). Il vino, invece, ha registrato una performance inaspettata di +5.1% sui mercati extra-Ue nel primo quadrimestre, nonostante siano stati proprio marzo e aprile i mesi clou del lockdown a livello mondiale.
Altro settore trainante del “Made in Italy”, secondo i dati diffusi dall’Istat, è stato quello farmaceutico che ha registrato una crescita del 19.6% nel primo bimestre del 2020 e sorprendentemente a marzo un trend in aumento del 32.5%.
L’export italiano verso l’Ue, infine, è diminuito complessivamente del 13.5% rispetto ai dati dello stesso mese dello scorso anno a causa di una caduta generalizzata della domanda interna dei vari Paesi, soprattutto per quanto riguarda il settore meccanico (-40.7%), l’abbigliamento (-26.6%) e quello di macchine e apparecchi (-21.1%), alla base del surplus italiano commerciale con l’estero.

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Orizzonti Politici è un Think Tank composto da circa 40 studenti e giovani professionisti che condividono l’interesse per la politica e l’economia. Il loro obiettivo è quello di contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.