L’imprenditore high-tech israeliano Shlomo Dovrat, filantropo e co-fondatore di Viola Ventures, società di venture capital con oltre tre miliardi di dollari in gestione, parla a Wall Street Italia
È appassionato di aziende tecnologiche, ama gli imprenditori che pensano in grande e negli ultimi 25 anni ha dedicato molto del suo tempo e delle sue risorse alle questioni sociali che riguardano Israele e al tipo di Paese che vorrebbe diventasse. Shlomo Dovrat, imprenditore high-tech israeliano, filantropo, co-fondatore e general partner di Viola Ventures, società israeliana di venture capital con oltre tre miliardi di dollari in gestione, parla a Wall Street Italia.
L’imprenditore high-tech israeliano Shlomo Dovrat
L’ecosistema tecnologico israeliano è unico nel suo genere: da nazione startup è diventata la terra degli unicorni. Solo quest’anno ne abbiamo visti nascere oltre 20. Come si è sviluppato questo ecosistema?
“L’ecosistema tecnologico israeliano è iniziato con l’eccellenza nell’ingegneria e con tre principali punti di forza. L’esercito, per primo. Oggi ci sono più startup provenienti dal 8200 [unità del corpo di intelligence delle forze di difesa israeliane responsabile della raccolta di informazioni sui segnali e della decrittazione dei codici, n.d.r] che dalla Stanford University. Nell’esercito i giovani non solo lavorano con tecnologie molto avanzate ma imparano che fallire è un’opzione. Questa è una delle più grandi differenze tra Israele, gli Stati Uniti e l’Europa. Qui, se ti dedichi a un progetto e questo poi non si concretizza, ti viene dato credito per averci provato.
Abbiamo l’esercito, abbiamo persone provenienti da grandi università e abbiamo avuto una grande immigrazione russa negli anni ’90. Circa un milione di immigrati, molti dei quali erano accademici, sono arrivati in Israele. Tutto è iniziato dalle aziende israeliane che costruivano software aziendali e semiconduttori. La maggior parte dei centri di ricerca e sviluppo sono diventati multinazionali, sono arrivate Intel, IBM e Microsoft. Poi abbiamo avviato l’industria del venture capital: la prima ondata di fondi ha investito principalmente in aziende che producevano tecnologia, è qui che è nata la leggenda della ‘startup nation’. Sempre più multinazionali sono venute in Israele perché qui vi erano ingegneri di altissimo livello. Israele ha di gran lunga più ingegneri pro-capite di qualsiasi altro Paese al mondo. È così che è iniziato tutto”.
In alto, lo skyline di Tel Aviv. Sotto, l’ingresso di Viola Ventures a Herzliya
Qual è la sua visione di Viola Ventures?
“Vado nella Silicon Valley ogni anno da 37 anni. Ho visto aziende come Sun Microsystems e Silicon Graphics costruire altre grandi aziende che sono venute in Israele ad acquistare i nostri prodotti. Ho fondato Viola con Harel Beit-On e Avi Zeevi, miei partner e amici da oltre 30 anni, che condividono la stessa passione per far crescere l’ecosistema tecnologico israeliano. Dal 2000 la nostra visione è quella di trasformare l’industria creando aziende. All’epoca non si chiamavano unicorni. Ora abbiamo i decacorn [startup con un valore di oltre 10 miliardi di dollari, n.d.r]. In Viola abbiamo il nostro decacorn, ironSource, la principale piattaforma business per la app economy, che è stata quotata il 29 giugno al New York Stock Exchange [la più grande IPO tecnologica israeliana di sempre con un valore di 11,1 miliardi di dollari, n.d.r]”.
Dice spesso che il 2007 è stato l’anno più importante nella storia della tecnologia. Ci spiega perché?
“Questo è stato l’anno più importante per Israele e per la tecnologia: è quando Facebook ha creato l’intero paradigma del social. È quando Amazon ha lanciato AWS (Amazon Web Services) e Cloud, è quando è stato lanciato l’iPhone. Questo ha cambiato la vita del consumatore che, per la prima volta, ha avuto accesso a internet 24 ore su 24, sette giorni su sette. Google, Facebook e Amazon hanno creato uno straordinario ecosistema digitale innovativo. Hanno costruito una piattaforma, che includeva la tecnologia, ma hanno anche costruito un nuovo modello di business. Dal 2007 viene investito circa un trilione di dollari in questo ecosistema. Tutte le nostre vite oggi sono digitali: acquistiamo online, guardiamo film online, guardiamo le notizie online. Le aziende israeliane, inizialmente concentrate sull’ingegneria, si sono ritrovate con un nuovo modello operativo digitale. Era possibile vendere il proprio prodotto digitalmente, fornirlo digitalmente su cloud, raccogliere soldi digitalmente. È stata una grande rivoluzione. Grazie a questo le nostre aziende, che reagiscono rapidamente al cambiamento e non hanno paura di fallire, hanno iniziato a brillare. In Viola abbiamo sette unicorni con quattro partner diversi in quattro settori molto diversi, ognuno con il proprio modello di business”.
Da sinistra, Shlomo Dovrat con Tomer Bar-Zeev, CEO e co-fondatore di ironSource, e il team
di ironSource
È vero che visitare una scuola in Israele è il modo migliore per capire perché gli israeliani diventano dei buoni imprenditori?
“Quando ero presidente della task force che si occupava dell’istruzione, ho ricevuto la visita del Ministro dell’Istruzione di Singapore. Mi ha chiesto: qual è il vostro segreto? La sua domanda mi ha fatto pensare, così ho fatto in modo che trascorresse una giornata in una scuola in Israele. Una classe israeliana è come un campo di battaglia: i bambini non si alzano, gridano, litigano continuamente con l’insegnante. Da un punto di vista di business è una cultura difficilissima da gestire, ma dal lato imprenditoriale è qualcosa di straordinario. I bambini non rispettano abbastanza l’autorità da esserne accecati, la sfidano sempre. Questo fa parte del nostro DNA che ci permette di pensare fuori dagli schemi, di provare cose folli, di accettare il fallimento e di andare avanti. Se sei appassionato del lato positivo più di quanto ti preoccupi del lato negativo, allora puoi essere un imprenditore. Sfortunatamente, in Europa le persone sono più preoccupate del lato negativo. Parlo con molti imprenditori, continuo a dire loro che bisogna avere passione, bisogna sognare. Gli israeliani sono dei grandi sognatori”.
Pensa che il modello di Israele possa essere replicato in altri ecosistemi come l’Italia?
“Ci sono degli aggiustamenti culturali da fare. Ogni Paese deve sviluppare aree in cui ha una particolare competenza e creare su di esse il proprio DNA imprenditoriale. L’Italia ha un grande vantaggio competitivo in molti settori, per esempio l’industria automobilistica e l’industria del design. Condivido il pensiero di Michael Porter, professore di Harvard, che parla di nazioni competitive. Bisogna essere selettivi nelle aree in cui ci si vuole focalizzare. Non investo in aziende che hanno già successo, investo in aziende che avranno successo tra cinque anni. Devo rischiare e prevedere in continuazione la direzione dei mercati”.
Si definirebbe più un imprenditore o un venture capitalist?
“Se mi chiede cosa faccio le rispondo che sono un venture capitalist, se mi chiede chi sono le rispondo che sono un imprenditore. Essere un imprenditore vuole dire immaginare una nuova realtà e realizzarla. Quando aiuto le aziende e lavoro con loro, lo faccio con una mentalità da imprenditore. Viola è un venture fund orientato all’imprenditorialità. Sono un imprenditore anche nel mio ruolo di filantropo. Penso che non ci sia cosa più bella al mondo che immaginare una realtà migliore e lavorare duramente per realizzarla”.
Uno scorcio su Wall Street. ironSource, il decacorn di Viola Ventures, è stato quotato sul New York Stock Exchange il 29 giugno. È la più grande IPO tecnologica israeliana di sempre con un valore di 11,1 miliardi di dollari
Quindi, cosa vuole dire veramente essere un imprenditore?
“Citerò Steve Jobs: si tratta di fare la differenza. Una delle mie prime aziende di successo si chiamava Tecnomatix [azienda che è stata acquistata da UGS nel 2004 per circa 220 milioni di dollari, n.d.r]. Abbiamo sviluppato un software che ha consentito agli ingegneri di progettare e costruire linee di produzione e simulatori. FIAT, Boeing e Airbus lo utilizzavano. È stata la realizzazione di un sogno iniziato quando un pilota di caccia in Israele mi disse che aveva bisogno di un simulatore di volo per robot. Non sapevo nulla di simulatori di volo e non sapevo nulla di robot. Oggi il 70% degli ingegneri tecnici nel mondo inizia la giornata con il mio software. Uno dei miei primi meeting è stato alla General Motors negli Stati Uniti. All’epoca vi erano 2.000 ingegneri e nessuna tecnologia. Avevo 24 anni e mi sono detto: un giorno voglio che tutti questi ingegneri lavorino con il mio software. Ed è quello che è successo. Si è imprenditori per questi rari momenti preziosi. Oggi, nove dei dieci giochi nell’Apple Store sono gestiti da ironSource. Essere imprenditori vuol dire sognare in grande e fare la differenza. Come venture capitalist, come filantropo, come imprenditore, come padre, questo è quello che cerco di fare”.
Quali sono i macro-trend nel mondo della tecnologia che guideranno la trasformazione del futuro?
“Nel 2007 grazie a social, mobile e cloud vi è stata un’innovazione sorprendente, ma settori come quello automobilistico, aerospaziale, agricolo, edile, farmaceutico, non sono cambiati molto. Per volare da Milano a Tel Aviv ci vuole lo stesso tempo di 70 anni fa quando inventarono il motore a reazione. La prima auto prodotta in serie 100 anni fa è stata la Ford Model T, a un prezzo che oggi sarebbe l’equivalente di 25 mila dollari. Aveva una velocità media di 40 miglia all’ora, percorrendo 14 miglia per gallone. L’anno scorso l’auto più venduta negli Stati Uniti è stata la Ford F150: oggi costa 25 mila dollari, ha una velocità media di 60 miglia all’ora e percorre 16 miglia per gallone. Dei primi 20 farmaci negli Stati Uniti, il più recente ha 25 anni. Il trend più emozionante in questo momento è l’intelligenza artificiale perché può risolvere problemi molto più complessi, lavorando su dati molto più grandi. Noi stiamo già investendo su questa realtà. L’intelligenza artificiale guiderà il cambiamento ovunque. È una rivoluzione molto emozionante e stiamo facendo grandi scommesse su di essa”.
Negli ultimi 25 anni ha dedicato molto tempo e molte delle sue risorse alle questioni sociali che riguardano Israele e al tipo di Paese che vorrebbe diventasse…
“Come prima cosa vorrei creare un ethos comune per Israele. Dobbiamo definire chi siamo: lo Stato del popolo ebraico, un Paese democratico. È molto importante essere una democrazia avanzata. Sono stato per molti anni presidente dell’Israeli Democracy Institute. Ho iniziato a essere filantropo quando è stato assassinato Yitzhak Rabin. Qualcosa si è rotto dentro di me e ho capito che il nostro sistema educativo non funzionava. Oggi sono coinvolto nell’istruzione e nella politica economica di Israele, cerco di creare una società avanzata che offra una vera mobilità sociale. Sono molto coinvolto in Think Tanks come l’Aaron Institute of Economic Policy, che prende il nome da mio padre. Voglio che Israele sia un Paese rispettato e ammirato per i suoi valori morali. Le democrazie liberali devono offrire a tutti pari opportunità. Il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno portato un’incredibile crescita economica, ma anche un grande aumento di disparità. Dobbiamo lavorare per ridurre questo divario”.
Cosa vuole vedere nella società del futuro?
“Voglio vedere più donne ovunque. Voglio vedere più arabi, più ortodossi, voglio vedere la diversità. Voglio rendere Israele una democrazia liberale, non solo con una grande industria high-tech, ma anche con una forte mobilità sociale. Qui abbiamo un settore high-tech molto forte, ma il resto dell’economia è debole. Questo ha a che fare con la mancanza di infrastrutture, ma soprattutto con la mancanza di istruzione per grandi parti della società. Sono molto coinvolto nella creazione di istituzioni che svilupperanno strategie per gestire questo problema”.
Suo padre, immigrato dall’Argentina, è stato un pilastro nella costruzione dell’economia moderna israeliana. In che modo ha influenzato quello che sta facendo oggi?
“Mio padre non è stato solo il mio mentore, la mia ispirazione, era anche un grande amico. Parlavamo tutti i giorni. Negli ultimi sette anni della sua vita abbiamo fondato Viola insieme. Era molto diverso da me. Mi ha insegnato a capire le imprese, le persone, le situazioni complesse, mi ha insegnato a essere molto pragmatico. Mio padre era un sognatore. La storia di un povero immigrato dall’Argentina che è riuscito a costruire il più grande conglomerato d’Israele dell’epoca è di grande ispirazione”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di luglio del magazine Wall Street Italia