ROMA (WSI) – Un secolo fa, nell’attendere l’arrivo del nuovo anno, la maggior parte delle persone in Occidente guardava al 1914 con ottimismo. I cento anni trascorsi dalla battaglia di Waterloo non erano stati del tutto privi di catastrofi – c’era stata una guerra civile terribile in America, la guerra franco-prussiana e stragi coloniali occasionali, ma la pace continentale aveva prevalso.
La globalizzazione e le nuove tecnologie – il telefono, il piroscafo, il treno – avevano “lavorato a maglia” il mondo rendendolo unito, scrive l’Economist. Eppure, a distanza di un anno, il pianeta era stato coinvolto in una guerra ben più terribile, costata al mondo 9 milioni di vite, che ha lasciato sulla sua scia varie tragedie geopolitiche: dalla creazione della Russia sovietica, al nuovo disegno troppo casuale dei confini del Medio Oriente e, peggiore di tutti i mali, l’ascesa di Hitler.
Così il mondo, dall’essere un amico della libertà e delle tecnologie, era diventato brutale e pronto a macellare e a schiavizzare la gente in maniera orribile.
La forza trainante della catastrofe che aveva colpito il mondo di un secolo fa era la Germania, che al tempo era alla ricerca di una scusa per mettere in atto una guerra che le consentisse di dominare l’Europa. Il compiacimento dunque era anche una colpa. Infatti, troppe persone, a Londra, Parigi e altrove, credendo che la Gran Bretagna e la Germania fossero reciprocamente le maggiori partner commerciali, dopo l’America, e che pertanto non ci fosse una logica economica dietro al conflitto, ritenevano che la guerra non sarebbe mai scoppiata. Ma si sbagliavano.
Tuttavia, l’umanità può imparare dai propri errori, come dimostra la risposta alla crisi economica, plasmata da una determinazione ad evitare di ripetere gli errori che avevano portato alla depressione. La memoria degli orrori scatenata il secolo scorso, fa in modo che i leader, oggi, incappino con meno facilità in una guerra simile.
Ai giorni odierni, infatti, la minaccia di un olocausto nucleare costituisce un potente freno a quelle azioni sconsiderate che hanno inviato una generazione di giovani uomini in trincea.
Nonostante ciò, però, i paralleli rimangono preoccupanti. Gli Stati Uniti sono come la Gran Bretagna di 100 anni fa: la superpotenza in declino, incapace di garantire la sicurezza globale. Il suo principale partner commerciale, la Cina, interpreta invece la parte della Germania d’allora, una nuova potenza economica ricolma d’indignazione nazionalista e pronta a costruire le sue forze armate rapidamente.
Il Giappone moderno, poi, è come la Francia, una potenza regionale in declino, alleata della potenza egemone in ritirata. I paralleli tuttavia non sono proprio esatti. La Cina, infatti, non ha le ambizioni territoriali del Kaiser e il budget della difesa degli Stati Uniti è ben più imponente di quello dell’impero Britannco – ma sono comunque abbastanza simili da mettere il mondo in guardia.
La somiglianza più preoccupante tra il 1914 ed i giorni nostri è l’autocompiacimento. Gli imprenditori di oggi sono come quelli di ieri: talmente occupati a fare soldi da non riuscire a notare i “serpenti tremolanti” alla base dei loro schermi commerciali. I politici invece stanno giocando con il nazionalismo così come hanno fatto 100 anni fa. I leader cinesi improvvisano una fobia verso il Giappone, utilizzandola come copertura per le riforme economiche, mentre Shinzo Abe agita il nazionalismo giapponese per ragioni analoghe.
L’India a maggio del prossimo anno potrebbe eleggere Narendra Modi, un nazionalista indù che si rifiuta di espiare un pogrom contro i musulmani nello Stato che gestisce e che avrebbe pronto il dito sul tasto di un potenziale conflitto nucleare con i suoi vicini musulmani in Pakistan. E l’Unione europea, costituitasi in reazione al massacro del 20 ° secolo, sembra più litigiosa e lacerata da un nazionalismo nascente, che in qualsiasi altro momento fin dalla sua formazione.
Ci sarebbero delle precauzioni che potrebbero aiutare a prevenire questi focolai pronti a scatenare un incendio. Una di queste misure preventive, che renderebbe il mondo più sicuro, sarebbe una politica estera americana più attiva. Infatti, nonostante abbia forgiato un accordo interinale nucleare con l’Iran, Barack Obama ha fatto comunque poco per portare i nuovi giganti emergenti – India, Indonesia, Brasile e, soprattutto, Cina – nel sistema globale. Questo denota sia una mancanza di ambizione che un’ignoranza della storia.
Grazie al suo potere militare, economico e di persuasione, l’America è ancora indispensabile, soprattutto nell’affrontare minacce come il cambiamento climatico e il terrorismo. Ma se l’America non si comporterà come un leader e come garante dell’ordine mondiale, inviterà indirettamente le potenze regionali a testare la propria forza e a compiere atti di “bullismo” nei confronti dei Paesi vicini.
Ad ogni modo nessuno di questi pericoli del mondo potrà mai portare a qualcosa di vagamente simile agli orrori del 1914. La follia, spesso legata a questioni di razza, religione o tribù, sembra dare spazio ad interessi personali razionali. Ma se dovesse trionfare, condurrebbe alla carneficina, al punto da far credere che la ragione stia prevalendo portando tutti ad essere colpevolmente compiacenti e, dalla lezione di un secolo fa, è importante capire che il troppo compiacimento non ha portato a nulla di buono.