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Silvio: «Se cado si vota»

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(WSI) – “Ho siglato un patto di ferro con Umberto. Se la situazione precipita, chiederà con noi le elezioni anticipate. Ma niente governi di transizione. I nostri elettori scenderebbero in piazza, sarebbe il ribaltamento della democrazia”. Stretto tra la necessità di rassicurare i suoi e dai timori per il pallottoliere che vacilla, e per le future mosse del Quirinale, il premier Berlusconi trascorre un insolito sabato a Palazzo Grazioli. A disegnare scenari con chi lo va a trovare – a cominciare dal Guardasigilli Alfano – e a ragionare delle conseguenze dello strappo appena consumato.

È proprio il “patto di ferro” siglato nelle ultime 48 ore con Bossi a rassicurarlo più di ogni altra cosa, come ha spiegato anche venerdì sera al castello di Tor Crescenza, a margine della cena con 25 deputate pdl. “Di Bossi posso fidarmi, mi ha assicurato che se anche il presidente Napolitano affidasse un giro di consultazioni al governatore Draghi o a Tremonti, pure la Lega invocherebbe il voto anticipato. E al Senato i numeri sono dalla nostra parte, siamo in grado di impedire qualsiasi governo di transizione, qualsiasi soluzione alternativa”. Ieri sera un leghista di governo confermava il patto: “Non molliamo Berlusconi, chiaro che preferiamo non si vada al voto, c’è il federalismo da condurre in porto. Ma se si arriva alla rottura siamo sereni, anche in caso di elezioni anticipate”.

Ma tutto passa per il Quirinale e il presidente del Consiglio questo lo ha ben chiaro, non a caso lo evoca negli scenari che abbozza in privato. L’uscita di venerdì del capo dello Stato, quel rimarcare la necessità di “salvaguardare la continuità delle istituzioni”, è stato registrato come un campanello d’allarme a Palazzo Grazioli. “Nessun altro sarebbe in grado di affrontare la crisi e di frenare la speculazione” si è sfogato il premier con uno dei suoi collaboratori. E poi la “continuità”, replica non a caso al Quirinale uno dei berlusconiani ortodossi come Osvaldo Napoli, rischia di trasformarsi in uno “scudo per il ribaltone”. Insomma, sentono puzza di bruciato e lo denunciano fin d’ora, al quartier generale del Pdl.

Lo strappo dei 33 di “Futuro e libertà” è una ferita appena aperta. Anche se a sorpresa ieri il presidente del Consiglio rassicurava i suoi: “Non c’è alcun rischio di crisi, i finiani saranno fedeli al governo, resteranno nella maggioranza come pure i leghisti”. Si vedrà. E lo si vedrà forse molto presto. Tra le file pidielline anche in questo week end da guerra fredda sta lievitando una certa apprensione per quanto potrà accedere già nella conferenza dei capigruppo di domani, chiamata a mettere in calendario prima della pausa i due decreti in scadenza, su Tirrenia ed energia. Perché le opposizioni chiederanno che sia messa ai voti anche la loro mozione di sfiducia al sottosegretario indagato per la P3, Giacomo Caliendo. Ebbene, il presidente della Camera Fini appena quattro giorni fa predicava ai suoi il sostegno al sottosegretario alla Giustizia, “ma ora lo scenario è del tutto mutato, la mozione non è nel programma, dunque se vorranno i nostri voti dovranno chiedercelo” gongola uno dei finiani di peso. Oltretutto, ragionano negli ambienti più vicini al presidente della Camera, la mozione non chiede la rimozione di Caliendo, ma il ritiro delle deleghe fin tanto che non sarà chiarita la sua posizione.

Se passasse quella mozione, va da sé, tutto crollerebbe. E la scorciatoia del voto anticipato, magari già in autunno, resta la soluzione preferita dal premier, non fosse altro perché l’avversario Fini non sarebbe pronto ad affrontare le urne. Alla cena di venerdì, coccolatissimo, dalle sue deputate, il Cavaliere lo ha ammesso senza tanti giri di parole. “Spero che il governo duri ancora tre anni, ma dobbiamo tenerci pronti ad ogni evenienza. Finora mi sono dedicato troppo al governo, ora voglio tornare a stare in mezzo alla gente, puntare sul partito. Il nostro obiettivo è aprire una sezione del Pdl in ogni paese”. E nel mese di agosto si dedicherà anche all’organizzazione interna. “I tre coordinatori sono previsti dallo statuto – spiegava – se adesso volessimo ridurli ad uno dovremmo fare una modifica”. Lo strappo di Fini invece lo ha raccontato alle onorevoli come una sua vittoria personale: “Sapete, sono sollevato, non ce la facevo più del continuo controcanto. Ho aspettato fin troppo. Non ho rotto per me, ma per la nostra gente. E a settembre partiremo con la grande riforma della giustizia”. Numeri permettendo.

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La Lega è pronta a battersi per evitare il governo tecnico. La parola fine ad una giornata convulsa, iniziata con il rifiuto dei centristi di aiutare un esecutivo che rischia di trovarsi senza maggioranza e proseguita con la nota in cui Berlusconi rivendica i risultati del governo e assicura che è pronto ad andare avanti, la mette Umberto Bossi. «Non staranno fermi – ha detto il leader della Lega a margine della festa del carroccio a Colico – cercheranno di puntare su un governo tecnico per cercare di fare leggi che interessano alla sinistra, non a tutti». Ma se questo scenario dovesse profilarsi la Lega non starà con le mani in mano.

«Fortunatamente la Lega ha qualcosa come 20 milioni di uomini pronti a battersi fino alla fine – ha assicurato il Senatùr -, se non c’è democrazia nel Paese la riportiamo noi. Abbiamo la forza popolare per farlo». Un avvertimento a Fini, che «non ha rispettato i patti» e che, secondo l’analisi del ministro delle Riforme, sta tramando per sfiduciare il Cavaliere. Non adesso, a settembre. «Secondo me – scandisce il Senatùr – adesso non c’è rischio di elezioni anticipate. Il Presidente della Repubblica, che è la chiave di volta, non manda adesso alle elezioni».

Dopo il proclama delle mani libere di Gianfranco Fini, dunque, nella maggioranza si ragiona di possibili scenari senza escludere la crisi di governo. E mentre il Cavaliere vanta di aver portato a casa ben 4 provvedimenti «contro tante chiacchiere», iniziano a registrarsi smentite e controsmentite sulla “campagna acquisti” del premier per rinforzare governo e maggioranza dopo la costituzione del nuovo gruppo finiano “Futuro e Libertà”.

Ci sono deputati dell’Udc e dell’Api di Francesco Rutelli ma anche del gruppo misto – avrebbe detto stanotte durante una cena con le deputate il premier – pronti a sostenerci, vanno intercettati. Ma dai diretti interessati la replica è gelida. «Nessuno pensi di spendere il nome di un movimento politico che è nato in modo coraggioso nuotando controcorrente per operazioni balneari. Detto in cinque parole, non c’è trippa per gatti» fa sapere chi è vicino al leader dell’Api Francesco Rutelli. «Io sono coniugato stabilmente e non cerco fidanzamenti», ribatte Pier Ferdinando Casini. «Sono sicuro che nessuno dei miei passerà con Silvio, siamo blindati – aggiunge il leader Udc – semmai sono gli altri a bussare alla nostra porta». «Sono una persona seria, rispetto gli impegni presi con gli elettori che mi hanno collocato all’opposizione – dice ancora Casini – Ho chiesto alla luce del sole nelle cene private come in Parlamento a Berlusconi di aprire una fase nuova. Serve all’Italia un governo di responsabilità nazionale che affronti il capitolo delle grandi riforme perchè così si campicchia e noi non possiamo permettercelo».

Di fatto, però, parlare di crisi di governo e persino di elezioni anticipate ormai non è un tabù neppure per i ministri stessi. «Se un’eventuale violazione del patto con gli elettori da parte di qualcuno dovesse impedire al governo di andare avanti – afferma ad esempio il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli – Berlusconi ed il centrodestra vincerebbero le inevitabili elezioni».

Intanto, a Palazzo Grazioli il premier incontra tra gli altri l’ex finanana Anna Maria Bernini (che dovrebbe diventare vice ministro dello Sviluppo nel cdm di mercoledì). Per evitare incidenti – riferiscono le deputate che lo hanno visto a cena ieri sera a Tor Crescenza – è lo stesso Cavaliere ad invitare ministri e sottosegretari ad essere più presenti in Parlamento quando si vota, a chiedere maggiore compattezza in Aula ed un maggior monitoraggio delle presenze.

I numeri traballano, insomma, e voto di sfiducia sul sottosegretario Giacomo Caliendo, processo breve, Lodo Alfano, riforma della giustizia e federalismo saranno i primi banchi di prova. Ma il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto avverte i finiani: «Vedremo ora come si comporteranno in Parlamento questi nuovi gruppi nati da parlamentari eletti con la maggioranza. Di certo nè il presidente del Consiglio nè il Pdl sono disponibili a farsi cuocere a fuoco lento, facendosi condizionare di volta in volta su ogni provvedimento. Se così fosse, si dovrebbe subito tornare a votare». Dopo il proclama delle mani libere di Gianfranco Fini si smarca anche Raffaele Lombardo, leader del Movimento per le Autonomie. «Quasi nulla del programma per il Sud è stato realizzato – dice -. Da ora in poi vogliamo vedere cosa portiamo a casa. Se è nulla, non vedo perchè dobbiamo votare contro gli interessi degli elettori».

Il premier – rientrato a Milano dopo una giornata di lavoro a Roma ed intenzionato a trascorrere l’estate riorganizzando il partito – rivendica di avere fatto «contro tante chiacchiere», 4 provvedimenti in 7 giorni, rafforzando «il profilo riformatore del Governo contro tante chiacchiere». Nuovo codice della strada, riforma del cinema e della università, ma soprattutto la manovra «che ha messo al riparo l’Italia dalle conseguenze più gravi della crisi economica e ha posto le condizioni dello sviluppo». «Frottole» per l’Idv, per la quale invece «governo e maggioranza sono al capolinea».