“Lo smart working è il contrario della produttività”.
Così aveva sentenziato il boss di JP Morgan Chase, Jamie Dimon, che all’inizio di aprile 2023 aveva imposto a tutti i dipendenti di rientrare in ufficio 5 giorni ai manager e 3 giorni agli impiegati. Una posizione simile a quella di David Solomon, ceo di Goldman Sachs, che aveva definito lo smart working “un’aberrazione da correggere al più presto ora che la pandemia è alle spalle”.
Il dietrofront sullo smart working
Secondo un rapporto del dipartimento del lavoro pubblicato lo scorso aprile, il 72,5% delle imprese ha dichiarato che i propri dipendenti hanno lavorato in smart working raramente o per niente nel 2022, contro il 60,1% del 2021. La quota di imprese che offrono lavoro ibrido (alcuni giorni in presenza presenza e altri in smart working) è scesa in tutti i settori, con un calo del 13,4% nel settore privato. Particolarmente evidente la diminuzione del lavoro ibrido nel settore finanziario: dal 44,9% del 2021 al 22% del 2022. La società di selezione del personale ManpowerGroup ha calcolato che circa il 13% degli annunci di lavoro attuali riguarda posizioni a distanza, contro il 17% del marzo 2022, ma ben superiore al livello pre-pandemico del 4%.
E in Italia? Nel nostro paese lo smart working è stato prorogato fino al 31 dicembre 2023 solo per i lavoratori fragili e con figli minori di 14 anni purchè sussistano contemporaneamente anche queste condizioni:
- l’altro genitore è impossibilitato a lavorare;
- nel nucleo familiare non sia presente altro genitore che beneficia di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa;
- lo smart working sia compatibile con le caratteristiche del lavoro svolto.
Al di là di queste categorie particolari di lavoratori, lo smart working non si è diffuso molto nel nostro paese. Secondo i dati dell’Inapp (Istituto Nazionale Analisi Politiche Pubbliche), in Italia solo il 14,9% degli occupati lavora parzialmente da remoto, sebbene potrebbe farlo quasi il 40%. Il presidente dell’Inapp, prof. Sebastiano Fadda, ha chiosato:
“Dai dati non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato, almeno nel nostro Paese. E’ come se durante la pandemia avessimo vissuto in ‘una grande bolla’ e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza, a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro che preveda una combinazione di fasi di lavoro da remoto con fasi di lavoro in presenza”.
Uno dei freni alla mancata adozione dello smart working in azienda sono i timori legati alla produttività dei dipendenti. Sono fondati?
Le conseguenze sulla produttività
Uno studio condotto in Cina da due professori di Stanford su 16 mila dipendenti dell’agenzia di viaggi cinese CTrip, quotata al Nasdaq, ha indagato gli effetti dello smart working sui dipendenti del call center lasciati liberi di decidere di lavorare da casa. Questi ultimi hanno avuto un incremento delle performance del 13%, di cui il 9% per il maggior numero di minuti di lavoro in ogni turno e il 4% per il maggior numero di chiamate al minuto. L’azienda ha così concesso a tutti i dipendenti l’opzione dello smart working, con un miglioramento delle performance del 22%.
I risultati della ricerca sono stati confermati nel 2020 da un altro studio, condotto da Natalia Emanuel ed Emma Harrington, ex dottorande dell’Università di Harvard, su un e-commerce online appartenente al Fortune 500, che ha riscontrato un aumento dell’8% del numero di chiamate gestite all’ora.
Le due ricercatrici hanno poi elaborato una versione riveduta del loro lavoro, pubblicata a maggio dalla Federal Reserve Bank di New York, che trae delle conclusioni diametralmente opposte, rivelando un calo di efficienza del 4% per i lavoratori in smart working.
I dati italiani sono bene diversi. Una ricerca condotta dall’ufficio studi di Variazioni ha rilevato che lo smart working nel 2021 ha aumentato la produttività dell’8% (53%, contro il 45% del 2020). Per Laura Di Raimondo, direttrice generale di Asstel, associazione delle imprese delle telecomunicazioni, “non c’è dubbio che abbia contribuito all’aumento della produttività nel nostro settore. Con il lavoro agile tra l’altro il tasso di assenze dei dipendenti si riduce in modo evidente”. “Lo smart working, inteso come lavoro su obiettivi e su una digitalizzazione intelligente delle attività, sta rendendo più produttive le aziende, con punte di miglioramento, secondo le stime fornite dalle stesse imprese, anche del 20%”, ha concluso Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio sullo Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.