In Italia, come nel resto del mondo, lo smart working si è rivelato un alleato fondamentale per consentire la continuità delle prestazioni lavorative in condizioni di chiusura totale della vita sociale.
Anche quando le misure di distanziamento saranno completamente superate, quella di poter lavorare da casa potrebbe rimanere, se non altro, un’aspirazione ben più forte di prima. E’ quanto è emerso da un sondaggio condotto negli Stati Uniti da Cnbc/Change Research, su un campione di 5.787 potenziali elettori.
I dati dello smart working
Secondo i risultati dell’indagine, solo il 9% degli intervistati lavorava completamente da casa prima della pandemia, mentre un ulteriore 14% lo faceva solo occasionalmente. Oggi, invece, lo smart working (termine maccheronico che assume significato solo in Italia) è la modalità di lavoro adottata dal 42% degli americani.
Al termine della pandemia, il 24% del campione afferma che preferirebbe lavorare interamente da casa, comunque più di quanto non avvenisse in precedenza. Il 55% degli intervistati, invece, desidera tornare alla normale vita d’ufficio, mentre un ulteriore 20% si dice indeciso. La maggiore propensione a lavorare in smart working, pertanto, è aumentata per un americano su quattro.
Se la tendenza fosse cavalcata dalle aziende, le ripercussioni economiche sarebbero rilevanti, in particolare per il comparto delle costruzioni (in quanto ci sarebbe minore domanda di spazi per gli uffici). La tendenza, inoltre, potrebbe avere un impatto positivo sulle emissioni inquinanti, come conseguenza, ad esempio, del risparmio di carburante sul tragitto casa-lavoro.
Secondo il sondaggio, inoltre, emerge un quadro in chiaroscuro sulle conseguenze dello smart working sulla produttività. In termini relativi, il gruppo più numeroso (40%) è quello che, lavorando da casa, rileva una minore produttività; tuttavia il restante 60% ritiene di essere produttivo come prima (39%) o più di prima (21%).