In molti lo ritengono una modalità di lavoro destinata a diventare sempre più importante. Per il momento, però, quasi il 40% dei lavoratori che avevano adottato lo smart working nel periodo più duro della pandemia è già ritornato in sede. Lo evidenzia un rapporto elaborato dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro: “Tempo di bilanci per lo smart working. Tra rischio retrocessioni e potenzialità inespresse”.
Nei mesi di marzo e aprile la percentuale di lavoratori che ha sperimentato l’home working si è attestata all’8,8%, un balzo notevole rispetto all’1,2% degli occupati che lavorava da casa nel pre-pandemia. Nel bimestre maggio-giugno, però, la percentuale è scesa nuovamente al 5,3%.
In particolare, è nel settore dell’informazione e della comunicazione che si è registrato l’incremento più alto con 28,2 lavoratori in smart working in più ogni 100 dipendenti.
Seguono in misura meno estesa i nuovi smart worker nel campo dell’attività professionale, scientifica e tecnica (l’incidenza tra i dipendenti aumenta di 16 dipendenti in più ogni 100); il settore finanziario e assicurativo (+14,1); il settore delle public utilities (+13,9).
L’adozione del lavoro da remoto, inoltre, è stata più profonda soprattutto per le aziende più grandi (quelle con oltre 250 addetti) con una crescita di 20,2 dipendenti ogni 100 durante il lockdown.
I perché del ritorno in ufficio
“Il ricorso esclusivo al lavoro agile, attuato nella gran parte dei casi, ha mostrato i forti limiti di uno smart working permanente, suggerendo semmai la prospettiva di un modello blended, in grado di alternare presenza in ufficio e lavoro da casa”, ha scritto la Fondazione dei Consulenti del lavoro nel suo rapporto. “L’esperienza ha inoltre portato in luce l’esigenza di una migliore regolamentazione del lavoro da casa, che non necessariamente deve essere fatta a livello legislativo: valutazione della prestazione lavorativa, verifica dei risultati, sicurezza della casa-sede di lavoro, sono tanti gli aspetti che necessitano oggi di paletti definitori, in modo da rendere l’attuale schema normativo del lavoro agile più funzionale alle esigenze di innovazione del nostro sistema lavoristico”
Le professioni più “adatte” allo smart working
Non tutti i lavori sono praticabili in modalità a distanza. La Fondazione ha elaborato autonomamente una stima sul numero complessivo di lavoratori che potrebbero essere impiegati in smart working in modo efficace: si tratterebbe di 3,8 milioni di persone il 22,1% dei dipendenti delle aziende private e delle organizzazioni pubbliche.
“In cima alla graduatoria, per numerosità, vi sono gli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali (1,2 milioni di lavoratori), seguiti, ma a notevole distanza, da tecnici dell’organizzazione e dell’amministrazione delle attività”.