Nonostante durante la pandemia sia stato ampiamente diffuso il concetto di smartworking, molte imprese stanno attualmente cercando di persuadere i propri impiegati a ritornare in azienda.
Tra queste figura Amazon, che fin dalla metà del 2021 aveva dato vita ad un approccio “ibrido“, motivato dalla convinzione che una presenza regolare in ufficio fosse essenziale per preservare la cultura aziendale, da sempre considerata un fattore cruciale. Secondo il team direttivo di Amazon, l’effettuare il lavoro in presenza comporta vari vantaggi: si facilita l’apprendimento reciproco e la comunicazione diretta, si favorisce una migliore collaborazione tra colleghi e si rafforza la coesione dei team.
Per quanto concerne i dipendenti, invece, il lavoro da remoto ha indotto molti a riconoscerne i pregi, dalla riduzione del tempo e delle spese necessarie per il pendolarismo, all’aumento del tempo da condividere con la famiglia o da dedicare a iniziative personali, oltre alla possibilità di risiedere in zone meno affollate o meno costose dal punto di vista immobiliare.
Amazon dice addio allo smartworking, le parole di Andy Jassy
Il CEO di Amazon, Andy Jassy, ha comunicato ai dipendenti di aderire al piano di rientro in sede dell’azienda oppure di valutare di lavorare altrove. Un vero e proprio ultimatum, confermato dalla CNN, a seguito delle dichiarazioni riportate da Insider riguardo alle osservazioni fatte da Jassy durante un evento interno aziendale. Secondo CNN, Jassy ha dichiarato durante l’evento che, sebbene i dipendenti abbiano il diritto di dissentire dalla decisione dell’azienda di richiedere il ritorno in ufficio dei lavoratori e di esprimere critiche in proposito, non hanno il diritto di ignorare la politica stabilita.
Andy Jassy ha detto:
È passato il tempo di non essere d’accordo e di impegnarsi. Se non sei d’accordo con la nuova policy aziendale e non riesci a rispettarla… probabilmente le cose per te non funzioneranno qui ad Amazon
Amazon aveva detto ai suoi impiegati di tornare in ufficio per tre giorni alla settimana a partire da maggio, rompendo con le precedenti politiche che concedevano ai singoli team di decidere se i colleghi dovessero lavorare in loco o meno. In un annuncio pubblicato sul blog aziendale, Jassy ha dichiarato che il gruppo di dirigenti aveva deliberato che per la cultura aziendale di Amazon era preferibile e più propizio, per un apprendimento reciproco e una collaborazione più efficace, che tutti fossero in ufficio in presenza.
Subito dopo l’implementazione delle nuove direttive, una raccolta di firme è stata avviata tra i dipendenti di Amazon, culminando in una petizione sottoscritta da quasi 30.000 lavoratori. Nel documento firmato dai dipendenti del colosso dell’e-commerce si legge:
Il mondo sta cambiando e Amazon deve abbracciare la nuova realtà del lavoro remoto e flessibile se vuole rimanere un’azienda innovativa che attrae e trattiene talenti di livello mondiale. Molti di noi, comprese donne, persone di colore e lavoratori con disabilità, riferiscono che avere autonomia nel luogo in cui lavoriamo migliora non solo il nostro rapporto con esso, ma anche la nostra capacità di essere visti e trattati alla pari. La decisione di Amazon mina la visione di un futuro inclusivo e accessibile a cui aspiriamo.
Tuttavia, il termine del regime di smartworking non è l’unico motivo di dissenso tra i dipendenti di Amazon. Sin dall’inizio dell’anno, l’azienda fondata da Jeff Bezos è stata confrontata anche con una serie di scioperi promossi da Amazon Employees for Climate Justice, un gruppo spontaneo di lavoratori che ha espresso critiche verso gli sforzi dell’azienda, giudicati insufficienti nel raggiungere la neutralità carbonica.
Non solo Amazon: le altre big tech che stanno abbandonando lo smartworking
Tra il 2020 e il 2021, il telelavoro divenne rapidamente popolare vista l’emergenza Covid. Sembrava che la pandemia avesse inaugurato un nuovo paradigma, suggerendo che il modello di smartworking, dove possibile, avrebbe continuato a essere applicato anche dopo il termine dell’emergenza. Le cose, però, si sono sviluppate in maniera diversa.
Microsoft, Apple e Google hanno già da un po’ di tempo richiesto ai loro dipendenti di tornare in ufficio per almeno due o tre giorni alla settimana. Persino Zoom, l’azienda leader nelle teleconferenze, ha recentemente comunicato ai suoi impiegati che devono trascorrere almeno parte della settimana lavorativa in ufficio. A maggio, l’amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, ha etichettato il lavoro da remoto come uno dei “più grandi errori dell’industria tecnologica degli ultimi tempi”, sottolineando che il lavoro remoto può danneggiare la creatività. Anche Elon Musk si è schierato contro lo smartworking per i suoi dipendenti, stabilendo che almeno 40 ore settimanali debbano essere trascorse in sede. Successivamente, è stata la volta di Disney, che ha imposto ai lavoratori di ritornare in ufficio per almeno quattro giorni a settimana. L’amministratore delegato Bob Iger ha spiegato su CNBC che secondo lui le persone “hanno bisogno di essere fisicamente presenti insieme”. Tra le aziende che hanno adottato un approccio di priorità assoluta per il lavoro in sede rientrano anche Netflix e Goldman Sachs.
E in Italia? Come si sta sviluppando il telelavoro
Dopo le restrizioni sullo smartworking per i genitori con figli sotto i 14 anni, in Italia il lavoro da remoto rimane in vigore fino al 30 settembre per i lavoratori considerati fragili, sia nel settore pubblico che in quello privato. Per tutti gli altri lavoratori, il telelavoro è regolato attraverso accordi specifici con le aziende.
Tuttavia, molte grandi aziende e realtà innovative stanno mantenendo il nuovo modello di lavoro, specialmente nel settore dei servizi. Ad esempio, Tim ha recentemente avviato un esperimento di lavoro da remoto al 100% per mille dipendenti. Anche altre aziende come Illimity e Intesa Sanpaolo continuano a utilizzare il lavoro da remoto come modalità lavorativa.