Con la fine dello stato di emergenza pandemica, ovvero il 31 marzo, aziende e lavoratori si interrogano su cosa ne sarà dello smartworking a partire da aprile. Modalità di lavoro sperimentata in maniera massiccia durante la pandemia, e che secondo un sondaggio del Politecnico di Milano, un lavoratore su tre vorrebbe continuare ad adottare.
Quello che appare assai probabile, ad oggi, è che il primo aprile non riserverà il brutto scherzo di un ritorno in massa al lavoro in presenza e lo stop allo smartworking, magari in uffici sovraffollati raggiunti a bordo di mezzi pubblici gremiti.
A seguito delle pressioni fatte in questi mesi, potrebbe essere mantenuta infatti la procedura semplificata adottata durante l’emergenza pandemica, ma vediamo come.
Smartworking ad aprile: al via procedura semplificata
Secondo quanto riferisce al Sole 24 Ore Pasqualino Albi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Pisa e consigliere del ministro Andrea Orlando, sono infatti allo studio un emendamento al primo veicolo normativo disponibile e un decreto del ministero del Lavoro per introdurre nuove procedure semplificate che permettano di mantenere il lavoro agile anche in tempi ordinari, dando seguito agli intenti messi nero su bianco in un protocollo firmato da sindacati e associazioni di categoria lo scorso 7 dicembre.
Durante lo stato di emergenza, infatti, per attivare il lavoro agile è sufficiente un accordo unilaterale dell’azienda. I datori di lavoro, con le semplificazioni allo studio, non dovranno però perfezionare uno per uno milioni di accordi su misura per ogni dipendente e mandarli singolarmente al ministero: sarà consentito predisporre modelli standard facsimile per raccogliere le adesioni del personale, per procedere poi all’invio massivo delle comunicazioni, senza bisogno di adempimenti ulteriori.
Lavoro da remoto sarà solo su base volontaria
Lo smart working, che secondo stime ministeriali interessa tra i 5 e gli 8 milioni di persone, circa il 30% della forza lavoro, tornerà comunque a essere formalmente regolato da accordi individuali come fissato dalla legge 81 del 2017, e non potrà essere imposto dall’azienda ma solo scelto dal lavoratore con un accordo individuale scritto e con il diritto di recesso.
L’eventuale rifiuto del lavoratore non può far scattare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo. Inoltre, lo svolgimento della prestazione in modalità agile non deve incidere sugli elementi contrattuali (livello, mansioni, retribuzione) e dà diritto allo stesso trattamento economico e normativo riconosciuto ai lavoratori che svolgono le stesse mansioni in presenza.
Il lavoro agile durante la pandemia
Secondo gli ultimi dati diffusi dal Politecnico di Milano, nel primo trimestre del 2021 i lavoratori ‘da remoto’ hanno superato quota 5 milioni 370.000, cifra calata a 4 milioni 710.000 nel secondo trimestre e a poco più di 4 milioni nel terzo trimestre dell’anno. Nella fase post-emergenza Covid-19, poi, la cifra degli addetti ‘agili’ è tornata ad oltrepassare gli oltre 4,3 milioni.
Guardando al futuro, un sondaggio condotto sempre dal Politecnico di Milano mette in evidenza che su un campione di lavoratori che hanno sperimentato lo smart working durante la pandemia: il 14% vorrebbe tornare a svolgere le sue mansioni prevalentemente in presenza, il 53% vorrebbe passare ad un modello di lavoro ibrido ed il 33% vorrebbe continuare l’attività ‘da remoto’.
A schierarsi a favore dello smartworking, c’è anche il Codacons che, quale giorno fa, ha fatto presentato delle stime su quanto ogni lavoratore risparmierebbe lavorando da casa. Secondo l’associazione dei consumatori, infatti, ogni singolo lavoratore godrebbe con lo smart working di un risparmio annuale compreso tra i 2.845 euro e i 5.115 euro.
Ma non solo. Tra i guadagni per i lavoratori anche 7 giorni all’anno derivanti dal minor tempo perso negli spostamenti casa-lavoro. Mentre per le aziende il Codacons parla di un risparmio del 30% in spese vive.