NEW YORK (WSI) – “Uno dei più elaborati e riusciti schemi di doping nella storia dello sport”. Così definisce il New York Times il programma di doping, ideato e messo a punto dalla Russia per vincere le Olimpiadi di Sochi del 2014, Olimpiadi che valsero alla nazione guidata da Putin ben 13 medaglie d’oro, 11 d’argento e 9 di bronzo.
Ma ora tutto è rimesso in discussione e l’ombra del doping avanza. E’ il quotidiano newyorchese a pubblicare la testimonianza di Grigory Rodchenkov, all’epoca delle Olimpiadi del 2004 direttore del laboratorio anti-doping russo. Fu proprio lui a creare il mix di sostanze vietate, mescolato ad alcolici e poi somministrato agli atleti russi.
L’ex direttore ha spiegato tutti i dettagli in una tre giorni di interviste al NYT che però non ha verificato quanto raccontato dall’uomo. Ad essere protagonisti attivi del programma di doping gestito da Mosca membri dei servizi di intelligence ed esperti antidoping che di notte avrebbero sostituito campioni di urina, contenenti il cocktail vietato con altri contenenti urina raccolta e messa da parte mesi prima. Come rivela Repubblica:
“Ogni notte, per quattro ore, avrebbero lavorato in un laboratorio segreto e, in caso di incriminazione dei campioni, ne avrebbero addirittura garantito la fuga. Con questo siste, alla fine dei Giochi sarebbero stati rimossi almeno cento campioni di urina. Parlando del suo lavoro, Rodchenkov lo definisce “un risultato notevole”: “Lavoravo come un orologio svizzero. Eravamo perfettamente attrezzati e preparati per Sochi come mai prima di quel momento”.
Fu Vladimir Putin a insignire lo stesso Rodchenkov dell’onorificenza russa dell’ordine dell’amicizia ma lo scorso novembre l’agenzia mondiale antidoping lo identificò proprio come l’uomo al centro del programma di doping gestito dal Cremlino. Dopo la richiesta di dimissioni da parte dei funzionari russi, temendo per la propria incolumità, l’ex direttore decise di fuggire negli Stati Uniti e da qui parte la sua testimonianza.