Economia

Social media marketing: dal caso D&G in Cina alla normativa sugli influencer

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A cura dell’avv. Stefano Casartelli *

Recentemente hanno destato scalpore i problemi di Dolce & Gabbana in Cina. La vicenda è nota: D&G ha diffuso sui social network alcuni video, ritenuti quantomeno stereotipati da molti utenti. La situazione si è aggravata quando su un noto account Instagram dedicato alla moda sono apparsi alcuni screenshot di messaggi privati scambiati con Stefano Gabbana, apparentemente denigratori della Cina. Ciò portava a reazioni sdegnate, nonostante la denuncia dello stilista di aver subito un hackeraggio.

La vicenda si è chiusa con un video di scuse, ma i danni per l’immagine del marchio sono stati notevoli, considerando l’importanza del mercato cinese per il brand.

Quanto accaduto a D&G è una ulteriore dimostrazione della rilevanza ormai assunta dai social network per le case di moda, con chiari vantaggi, ma anche con numerosi rischi, legati in particolare all’incontrollata diffusione che possono avere eventuali “passi falsi” ed ai conseguenti danni reputazionali.

Oltre alle attività direttamente gestite dalle imprese del settore, il social media marketing della moda si basa largamente sugli influencer, personaggi celebri che hanno un grande numero di follower. Spesso le case di moda usano gli influencer per finalità promozionali, e li retribuiscono fornendo loro prodotti gratuitamente (sul presupposto che saranno rilanciati sui social, influenzando così le scelte dei follower), o anche versando veri e propri corrispettivi.

Neppure l’uso degli influencer è però privo di rischi, anche legali. Il fenomeno è infatti giunto all’attenzione delle autorità, dapprima all’estero (in primis negli Stati Uniti), ma recentemente anche in Italia, in seguito ad alcune segnalazioni di associazioni di consumatori all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), competente in materia di pratiche commerciali scorrette.

Ai sensi del Codice del Consumo (art. 22) la pubblicità deve essere infatti sempre riconoscibile e non occulta. Se un influencer appare agire spontaneamente quando in realtà sta promuovendo un prodotto di un brand, entrambi i soggetti rischiano sanzioni per pubblicità occulta.

Nel luglio 2017 e nell’agosto 2018 l’AGCM ha quindi effettuato due moral suasion, inviando lettere ad alcuni influencer e brand che non avevano espressamente indicato il carattere promozionale di alcuni post. L’Autorità ha chiarito che le norme del Codice del Consumo si applicano anche all’attività promozionale tramite i social network e che i post pubblicitari dovranno essere sempre evidenziati come tali, in particolare tramite appositi hasthag (ad esempio #advertising).

Analogo obbligo si applica ai casi in cui i post mostrino prodotti forniti gratuitamente agli influencer pur in assenza di uno specifico accordo promozionale (ad esempio, #prodottofornitoda).

Anche l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), organismo di autoregolamentazione del settore, si è mostrato sensibile al tema, introducendo apposite regole in una propria Digital Chart. Lo IAP ha anche permesso agli influencer di associarsi allo stesso, al fine di estendere l’efficacia della propria attività di autoregolamentazione.

Resta comunque da valutare come si evolverà la prassi delle Autorità, anche in ragione del fatto che la pubblicità occulta tramite influencer non è sempre di facile individuazione: ad esempio, i brand ricorrono sempre più spesso a svariati influencer anche meno famosi al grande pubblico, e con un numero di follower più ridotto (microinfluencer e nanoinfluencer), i quali, oltre ad essere meno costosi, appaiono più spontanei e sono meno facilmente individuabili.

* Associate dello studio legale Jenny.Avvocati, sulla questione D&G e la normativa sugli influencer