Spuntate le armi della politica monetaria, invocare l’intervento della spesa pubblica non è sufficiente. Secondo S&P Global Ratings è tempo di invertire la rotta delle decisioni della Bce, il cui stimolo “potrebbe essere diventato controproducente”. A legittimare le misure espansive della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi, però, c’è sempre stato un dato fondamentale: la distanza fra l’inflazione osservata e quel livello “vicino ma al di sotto del 2%” prescritto nel mandato della Bce. Per rendere più efficace l’azione dell’Eurotower, S&P ha un suggerimento molto semplice: modificare il paniere di riferimento che sta alla base delle scelte della banca.
L’agenzia, infatti, fa notare che sui settori tradables (i cui prodotti sono commerciabili su scala globale) l’impatto della politica monetaria ha scarsa influenza; mentre, al contrario, i settori nontradables rispondono molto di più ai tassi d’interesse di riferimento. Fra questi, S&P segnala soprattutto l’importanza dei prezzi delle prime case.
“Se si tenesse conto dei prezzi delle abitazioni occupate dai proprietari si otterrebbero 0,3 punti percentuali aggiuntivi rispetto all’attuale tasso di inflazione e questo contribuirebbe a un aumento sostenibile delle aspettative di inflazione”, afferma Sylvain Broyer, capo economista Emea di S&P Global Ratings. Inoltre riequilibrerebbe la politica monetaria della Bce, passando dalla necessità di un allentamento preventivo alla necessità di stabilità finanziaria”.
Se da un lato il prezzo dell’affitto di una residenza principale è incluso nell’indice europeo armonizzato dei prezzi al consumo, l’importo equivalente che paga il proprietario-occupante della casa non è incluso nell’indice. “Questo è difficile da capire”, si legge nel report, “dal momento che il 69% delle abitazioni nell’Ue è occupato da proprietari”.
Se in passato si fosse ricalibrato il paniere che compone l’inflazione, riducendo quelle componenti il cui prezzo risponde poco agli stimoli monetari, le decisioni sarebbero state diverse – e in senso più restrittivo. Ciò non sarebbe stato poi così negativo per l’economia se si considera che, secondo S&P, “misure di allentamento quantitativo come il programma di acquisto di obbligazioni della Bce e misure di allentamento del credito misure come le Tltro hanno avuto molto successo nell’aumentare i prezzi delle attività, ma sono riuscite a malapena a velocizzare la crescita del credito e a indebolire il tasso di cambio”.
L’allentamento finanziario, com’è stato messo in evidenza dal Fmi e dall’appello dei sei ex banchieri centrali europei, incoraggia le assunzioni di rischi sui mercati amplificando il potenziale negativo in caso di choc finanziari.
La Bce, scrive l’agenzia di rating, avrebbe capito ben dopo la Fed che “la quantità di denaro che circola nell’economia non è più un barometro affidabile della direzione dei prezzi al consumo”. Da anni, infatti, ci s’interroga sul perché le politiche non convenzionali delle banche centrali, con iniezioni di liquidità massicce e prolungate, non abbia prodotto inflazione. S&P Global Ratings ricorda alcune ragioni fondamentali:
“La bassa inflazione nell’Area euro non è spiegata solo da fattori relativi alla domanda, ma anche da quelli relativi all’offerta. La crescente quota di importazioni da paesi a basso costo, in particolare dalla Cina, e un incredibile livello di innovazione tecnologica hanno appiattito i prezzi”, scrive S&P. “La disinflazione competitiva in tutta l’Eurozona”, ovvero il tentativo di recuperare competitività estera attraverso politiche di compressione della domanda interna, “il più debole potere contrattuale del lavoro, l’ulteriore spostamento verso le economie dei servizi e l’invecchiamento della forza lavoro hanno frenato con tale forza la crescita dei salari che alcuni economisti dubitano che esista ancora un legame tra inflazione e disoccupazione”.