La Spagna si avvicina al suo primo governo di larghe intese dalla fine della dittatura franchista: l’asse dell’alleanza si sposterà decisamente a sinistra con l’apertura del Psoe alla formazione anti-austerity Podemos. Si tratta di “un accordo per quattro anni”, un’intera legislatura spagnola, annuncia il leader dei socialisti Pedro Sanchez. Lo spread spagnolo nei confronti del Bund tedesco non ha reagito in modo particolarmente favorevole alla notizia, con un rialzo di 2,8 punti a quota 69,9 – sempre 85 punti in meno rispetto allo spread italiano che ora veleggia intorno a 155 punti.
Il Psoe si è confermato il primo partito spagnolo con una rappresentanza in parlamento pressoché invariata rispetto ad aprile. Podemos, invece, è fra le formazioni uscite ridimensionate dalle elezioni, che hanno visto un recupero dei popolari e, soprattutto, la decisa affermazione della destra nazionalista di Vox.
Lo scorso luglio una consultazione interna degli iscritti di Podemos aveva decretato a larga maggioranza (70%) il proprio favore a un governo di coalizione presieduto da Sanchez, anche se fino ad ora i socialisti hanno governato mediante l’appoggio esterno in un governo di minoranza monocolore.
Il via libera del Psoe all’accordo di governo con Podemos allontana decisamente la possibilità che un nuovo governo di minoranza potesse vedere la luce grazie a una benevola astensione dei popolari.
La coalizione Psoe-Podemos è lontana dall’essere autosufficiente, comunque. I 120 seggi dei socialisti uniti ai 35 di Podemos difettano di 21 voti per il raggiungimento la fatidica quota 176, necessaria a governare. Solo Vox e Pp posseggono, singolarmente, un pacchetto di seggi tale da sopperire alla mancanza.
I numeri restano difficili da raggiungere
“La Spagna ha bisogno di un governo stabile, di un governo solido”, afferma Sanchez, consapevole che per raggiungere l’obiettivo avrà bisogno di coinvolgere altre formazioni politiche al progetto progressista. Varie formazioni minori, gli indipendentisti catalani e baschi messi assieme potrebbero, almeno in teoria, permettere la nascita del governo tramite l’astensione. Si sfila invece il leader del Pp, Pablo Casado, secondo il quale l’accordo Sanchez-Iglesias “è l’ultima cosa di cui la Spagna ha bisogno adesso”.
Ancor meno disponibile ad accordi è il terzo partito, Vox, il cui leader Abascal, ha definito come “comunismo di stile venezuelano” il nuovo progetto politico. Anche i liberali di Ciudadanos, ridotti a una delegazione di 10 seggi, hanno annunciato la propria chiusura.
L’aritmetica resta assai difficile per la nascita di un nuovo governo. Uno scenario al quale la Spagna, che negli ultimi quattro anni è andata al voto altrettante volte, è ormai abituata.