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Spread giù, ma montagna debito: Imu è essenziale?

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ROMA (WSI) – Il debito pubblico che “cresce, ma di poco”; le entrate tributarie che salgono “ma il dato di luglio tendera’ a ridimensionare” il balzo; lo spread ai minimi da due anni, “un premio alla stabilita’”.

Per il ministro del Lavoro Enrico Giovannini la ripresa sta arrivando ma, avverte, “non ci sono tesoretti”. E in un’intervista a ‘Repubblica’ parla di un “possibile segno piu’ del Pil tra il terzo e quarto trimestre dell’anno”. Anche se “una crescita zero virgola non basta a recuperare i tantissimi posti persi”.

Ma, osserva, “il tasso di disoccupazione negli ultimi due-tre mesi non si e’ alzato”. Sul fronte ‘caldo’ dell’Imu, spiega Giovannini, “il governo ha preso l’impegno di abbassare le tasse. Per farlo dobbiamo tagliare la spesa. E la legge di stabilita’ di ottobre sara’ il momento delle grandi scelte. Entro agosto intanto avremo la riforma dell’Imu”.

Va tuttavia coordinata con gli altri interventi. E riguardo alle fibrillazioni del governo proprio per l’Imu sottolinea: “sono convinto che la ragionevolezza prevarra’ e si trovera’ una buona soluzione”, evitando che la fibrillazione politica di questi giorni sfoci in instabilita’”. Entro ottobre, spiega ancora il ministro, “presenteremo la proposta di riforma dei servizi dell’impiego”.

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ROMA (WSI) – Nonostante il debito veleggi sopra i due mila miliardi di euro, come confermato dalla Banca d’Italia, e la ripresa sia poco più che una fragile prospettiva all’orizzonte, la Borsa di Milano ha chiuso ieri in positivo, a +0,44%, e lo spread (il differenziale tra rendimenti sui titoli a 10 anni tedeschi e italiani) è crollato addirittura ai minimi da due anni, a quota 245,5 punti.

Un dato che consente di fare qualche calcolo approssimativo sugli oneri in meno che si pagano sulla nostra montagna di debito. Un esempio? Da un anno a questa parte, da settembre del 2012, quando Mario Draghi fece approvare dal consiglio direttivo della Banca centrale europea lo scudo anti-spread che impresse una traiettoria discendente ai nostri rendimenti sui titoli di Stato, il Tesoro paga circa un punto in meno di oneri sui bond sovrani, dunque approssimativamente 2 miliardi di euro in meno di interessi sul debito.

Prima di dettagliare il calcolo, va precisato che il debito pubblico si è attestato a giugno a 2075,1 miliardi di euro, in crescita di 600 milioni rispetto a maggio. Tra gennaio e giugno, in particolare, l’incremento è stato di 86,5 miliardi di euro e riflette il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche da 44,5 miliardi e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro da 41,9 miliardi.

In altre parole, sul debito ha influito positivamente un buon andamento delle entrate tributarie (+5,15%), favorite dal versamento di un’imposta straordinaria delle imprese, ma anche dalla scadenza dell’Irpef che era stata rimandata l’anno scorso a luglio, e che quest’anno è tornata a giugno, «gonfiando» il dato delle entrate.

Ma forse in questa fase arroventata di dibattito sull’Imu, va anche ricordato che l’imposta sulla casa è tra le poche che non risente del ciclo e che non può essere facilmente evasa. Di conseguenza, ha favorito il dato positivo delle entrate, e, quindi, del debito.

Nei primi sei mesi dell’anno, ha resto noto il ministero dell’Economia una settimana fa, la crescita delle entrate tributarie del 3,1% è stato aiutato molto dai 9 miliardi di euro di gettito dell’Imu sulle seconde, terze case, eccetera. Un andamento che ha anche attutito il crollo dell’Iva, dovuto alla contrazione dei consumi, del 5,7% (e che non contiene i 2 miliardi di prima rata sull’Imu che sono stati rimandati a settembre, oltretutto).

Tornando al record negativo dello spread, tradotto in rendimenti sui titoli a dieci anni, significa che il Tesoro sta pagando circa il 4,15% di interessi sui btp.

A inizio settembre, poco dopo l’annuncio di Draghi sull’Omt che era stato pensato soprattutto per l’Italia e la Spagna, quei rendimenti erano un punto sopra il livello attuale, oltre il 5%. Per calcolare correttamente l’onere sul debito, bisogna tener conto tutte le scadenze (dai titoli a breve a quelli a lungo), e tener conto della maturità dei titoli. Stando al Documento di economia e finanza pubblicato ad aprile di quest’anno dal ministero dell’Economia, la scadenza media dei nostri titoli è di 5,5 anni.

E, sempre leggendo quel Programma di stabilità, si apprende che l’effetto di un aumento (o un calo) di un punto della curva dei rendimenti sui bond statali avrebbe un impatto di 0,15% del Pil nel primo anno, 0,33% nel secondo, e 0,46% nel terzo. A regime, dal 2019, sarebbero 10 miliardi all’anno.

Da settembre ad oggi, più o meno tutti i bond, hanno beneficiato di un calo dei rendimenti di circa un punto, e un calcolo approssimativo consente di calcolare il beneficio in circa 2 miliardi di euro. Ma prima di farsi venire idee strane su quella cifra così evocativa, meglio ricordarsi sempre che la montagna di debito pubblico italiano ha sfondato quota 130% del Pil. Se si volesse affrontare una questione urgente, sarebbe meglio cominciare da lì.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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