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SPUNTA LA LOBBY ANTI-FINI, ISPIRATA DAL CAVALIERE

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«Berlusconi si fida sempre meno di Fini, ormai dice quasi apertamente che Gianfranco è diventato il più democristiano di tutti». Questa è la lettura che dentro Forza Italia danno alla freddezza con la quale il Cavaliere sta trattando il vicepremier.

Anche ieri, in Consiglio dei ministri, l’aria era quella che tira fra due ex amici che mal si sopportano. Tanto più che quando Fini si è scontrato con Tremonti su Dpef e contratto dei dipendenti pubblici, il premier si è subito spostato sulle posizioni del secondo. Fatti che la dicono tutta sullo stato d’animo di Berlusconi. Ma che almeno hanno la funzione di portare chiarezza al tavolo della paralisi che ha colpito il governo.

Ormai nella Cdl si fronteggiano due posizioni: da un lato i sostenitori del neocentrismo di ritorno; dall’altro i difensori dell’alleanza nordista. Berlusconi, per indole e convinzione, è schierato con questi ultimi. Ma il premier è realista, e sa che non può farlo pubblicamente. Ciò non toglie che dal suo punto di vista, umano e politico, egli sia rimasto molto deluso da Fini. Tralasciando la polemica su cosa farebbe adesso il vicepremier se Berlusconi non lo avesse sdoganato, al leader di An il Cavaliere imputa innanzitutto la colpa di essersi democristrianizzato all’eccesso.

Ad esempio, non ha mai mandato giù l’aut aut sulla verifica di governo, che ha rinverdito una prassi tipica della prima Repubblica (tra l’altro, proprio da quella richiesta è partito tutto il bailamme di questi giorni).

Il premier, è storia vecchia, non ha mai amato la Diccì. Certo, si è appropriato dell’icona De Gasperi e si è preso quasi tutti i voti della balena bianca, ma ha sempre mal sopportato le norme non scritte che regolarono la prima Repubblica, dettate quasi tutte dalla Diccì. Meccanismi che ancora oggi, secondo il Cavaliere, sono rimasti culturalmente appiccicati nell’animo dei post-democristiani, persino di quelli che militano in Fi, di cui diffida.

Facile ricordare, ad esempio, che il Cavaliere non difese mai apertamente Pisanu dalla Lega, dopo che il ministro cercò consenso anche nell’opposizione sulla questione immigrati. Fini invece si schierò con Pisanu, con il quale continua a flirtare, così come con Gianni Letta, alias Gianni le doux, contro il quale è in corso un tentativo di ridimensionamento perché deus ex machina del progetto per il nuovo pentapartito. Letta però resiste, e non a caso – voluto dal vicepremier – era presente ieri nel faccia a faccia fra Fini e Tremonti sulle questioni finanziarie.

Ma, al di là del contingente, i rapporti fra il premier e il suo vice si erano già da tempo logorati, complici le diverse vedute su molte questioni: interesse nazionale, trasferimento di Raidue a Milano, elezioni friulane, cabina di regia e riforma della giustizia. Per Berlusconi, però, il boccone più amaro è stato il volto scuro ostentato in mondovisione da Fini durante il discorso per l’insediamento in Europa. Un fatto, questo, che segnerà per lungo tempo i rapporti tra i due. Come mai prima d’ora, il Cavaliere considera ormai il leader di An quasi alla stregua di un nemico.

D’altronde Berlusconi non è solo. Dietro di lui, in Forza Italia sta infatti strutturandosi il partito anti-Fini. Ha cominciato Giulio Tremonti, a cui si è subito accodata grossa parte degli azzurri del Nord, che senza la Lega temono di non essere rieletti. E che dire dei garantisti? Taormina (che se non è più sottosegretario lo deve al vicepremier), Previti, Dell’Utri, Cirami non hanno certo preso bene lo stop imposto da An su separazione delle carriere e immunità parlamentare, anzi.

C’è poi un folto gruppo di ministri (Frattini in primis, ma anche Marzano e Martino) che vedono nell’eventuale rimpasto un pericolo per le loro titolarità. Infine, c’è un caso a parte, quello di Claudio Scajola, per il quale valgono le considerazioni fatte per Taormina: senza le critiche di Fini per la gaffe su Marco Biagi, probabilmente siederebbe ancora al Viminale. È anche vero, però, che se il rimpasto non si fa, Scajola rischia di rimanere fuori dal governo almeno fino al 2006.

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