Roma – In fondo, la domanda è la stessa che si fece Lenin agli inizi del Novecento, dando il là a quell’effetto domino che avrebbe portato alla Rivoluzione d’ottobre del 1917. «Che fare?». E quella stessa domanda, applicata a Beppe Grillo, porta ad altri due punti interrogativi.
Grillo vuole continuare a inanellare successi elettorali rimanendo alla larga – al contrario di quanto gli è successo a Parma – dal governo? Oppure se la vuole giocare per davvero, nella prossima primavera, la partita delle partite? La risposta è la seconda. Anche perché, negli stessi giorni in cui isolava la dissidente Federica Salsi accusandola di avere nelle ospitate televisive il suo «punto G», attorno al comico genovese ha preso forma un vero e proprio «polo G». Dove la «G» sta per giustizialista.
Un polo strutturato a mo’ di coalizione, in grado di sfruttare l’ultima versione
della legge elettorale per provare a vincerle davvero, le prossime elezioni. Fantapolitica? Tutt’altro. Per capire come sta nascendo il cantiere del «polo G» bisogna partire da un episodio laterale. E cioè dalla scissione dell’Italia dei Valori. Ma anche dai protagonisti occulti di questa partita. Grillo e Di Pietro, ovviamente. Ma anche, in ordine sparso, Luigi
de Magistris, Leoluca Orlando, il sindaco pd di Bari Michele Emiliano. E soprattutto il mister X che potrebbe correre da premier: il magistrato Antonio Ingroia.
IL CASO DONADI
Il diavolo, in una storia come questa, si annida nei dettagli. E un dettaglio racconta che da quando ad agosto ha aperto un fronte contro Di Pietro nell’Idv («Scondinzola dietro Grillo», disse al Corriere della Sera) al lunedì successivo la puntata di Report sulle proprietà immobiliari di «Tonino», Massimo Donadi –che ieri ha lasciato il partito – aveva la fila davanti alla porta. «La fila di colleghi», ha confidato ai suoi, «che mi imploravano di portarli verso il centrosinistra di Bersani e Vendola».
E invece, come nel più clamoroso dei colpi di teatro, proprio mentre Di Pietro annunciava che «questo partito è morto», a cambiare il segno a una partita già decisa arriva lui: Grillo. Che, invece di accanirsi contro l’ex pm come avrebbe fatto con qualsiasi altra “vittima ” (virgolette d’obbligo) di un caso analogo, non solo assolve l’ex pm. Ma lo lancia come candidato per il Quirinale.
Risultato: Donadi rimane praticamente solo. E «Tonino» si conferma sempre più solido alla guida del suo partito. Domanda: perché il comico genovese ha salvato l’ex magistrato molisano?
IL PATTO
Per rispondere a questa domanda, meglio prenderla da un altro verso. Dalla garanzia che i parlamentari rimasti fedeli a Di Pietro si passano di bocca in bocca. Della serie, «Tonino ci ha assicurato che faremo l’alleanza col Cinquestelle perché Beppe vuole vincerle, le elezioni. E ci giochiamo quella riconferma in Parlamento che, a seguire Donadi come “ospiti ” nelle liste del Pd, non tutti avremmo». Una garanzia che continua a “reggere ” anche dopo che il comico genovese, a parole, ha smentito l’ipotesi. Infatti, smentite a parte, la pattuglia dipietrista segue «Tonino». Certa del «patto» con Grillo. E verso il Polo G.
IL REBUS LEGGE ELETTORALE
Ma i tormenti dell’Idv, che prima di formalizzare l’alleanza con Cinquestelle cambierà nome e simbolo (entro dicembre), non sono l’unico fatto che ha spinto Grillo a “salvare ” Di Pietro. Ce n’è un altro, che sta maturando proprio dentro il Palazzo: il cambio della legge elettorale.
Al di là dell’inserimento di una soglia oltre la quale scatta il premio di maggioranza (per ora è al 42,5%), il comico genovese si rende conto che –per sognare il «colpaccio» –c’è bisogno di una coalizione. Del «Polo G», insomma, le cui fondamenta sarebbero costituite dal tandem M5S-Idv. Un tandem in cui il movimento grillino, come dimostrano tutti i sondaggi riservati, potrebbe comunque ambire al premietto del primo partito, che sarà istituito a breve per venire incontro (ma non troppo) ai rimbrotti del partito di Bersani.
GIGI CON ORLANDO ED EMILIANO
Ma i confini del Polo giustizialista saranno fissati solo da Grillo e Di Pietro? No. Anche perché il tandem potrebbe trasformarsi in un triciclo. Secondo uno schema stabilito dai due guru. Quello del software, e cioè dei contenuti, che si chiama Marco Travaglio. E quello dell’hardware, e cioè della «macchina», che risponde al nome di Gianroberto Calaleggio. Per rintracciare la «terza forza» del «Polo G» bisogna chiamare sulla scena altri tre personaggi.
E un progetto, quello della «lista arancione» uscito dal cilindro del primo di loro: Luigi de Magistris. Il sindaco di Napoli, che di Di Pietro è sempre stato un oppositore interno, nei mesi scorsi aveva preso di mira anche Grillo. Eppure, proprio nel momento in cui «Tonino» era in difficoltà e «Beppe» l’ha salvato, invece di prendere i classici due piccioni con una fava ha preferito sotterrare l’ascia di guerra.
Perché? Nel sancta santorum del dipietrismo la risposta che danno è una sola: «Anche Gigi sarà con noi». E non solo lui. Pure Leoluca Orlando, che il 3 novembre scorso aveva detto ad Antonella Rampino della Stampache «non mi interessa il futuro di Di Pietro», il giorno dopo ha cambiato registro. Spiegando, senza troppi giri di parole, che «sto con Di Pietro». E per tre sindaci targati Sel che si sfilano (Pisapia, Zedda, Doria) ce n’è uno del Pd che s’avvicina. Chi? Michele Emiliano, primo cittadino di Bari. Che, negli ultimi tempi, s’è contraddistinto per le sue difese pubbliche sia di Di Pietro che di Grillo.
DARIO FO IN LOMBARDIA?
Ma una coalizione così composta ha bisogno di un candidato premier. E qui i rumors vanno tutti in un’unica direzione. E cioè nell’unico «mister X» su cui tutti i protagonisti di questa partita – Grillo, Di Pietro, Travaglio, de Magistris, Orlando, Emiliano, Casaleggio – convergerebbero senza colpo ferire. E cioè Antonio Ingroia, il pm palermitano che prima di partire per il Guatemala ha mostrato qualche carta.
«Io in politica? Mai dire mai. Candidarsi è un diritto di tutti». E visto che non c’è grande spettacolo senza una prova generale ecco che, a fagiolo, arriva la mini-tornata di elezioni regionali del 27 gennaio. Il pacchetto di mischia ha in mente di sperimentare il «Polo G» in Lombardia, la regione da cui vent’anni fa un partito «di lotta» come la Lega iniziò la sua trasformazione in forza «di governo».
Successe quando Marco Formentini spazzò i partiti tradizionali aggiudicandosi la poltrona di primo cittadino di Milano. Era il 1993. Adesso, però, il «Polo G» parte dalla Regione, agevolato da una legge elettorale in cui il candidato che arriva primo si aggiudica il posto. Il candidato è ancora da scegliere. Ma la squadra ha intenzione di schierare un grosso calibro.
Magari, dice un autorevolissimo esponente dipietrista, «un premio Nobel». E qui la rosa dei nomi si ridurrebbe a uno: Dario Fo.
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