Gli Stati Uniti sono a rischio di una nuova bolla immobiliare? A provare a rispondere a questa delicata domanda ci hanno pensato gli esperti di Notz Stucki, società di asset management ginevrina fondata nel 1964, focalizzata sulle gestioni di grandi patrimoni. Gli analisti sono partiti da uno studio riportato sul Financial Times, che presenta una tesi precisa: prendendo in analisi i dati sull’inflazione, negli Usa sussiste un’ipotesi di instabilità finanziaria direttamente connessa ad una possibile bolla immobiliare. “L’ultimo aggiornamento dell’indice dei prezzi al consumo (Cpi) mostra come i prezzi degli affitti salgano ad un ritmo molto più alto rispetto a quelli dei beni e servizi, nonostante la Core inflation (ovvero ll’inflazione senza le componenti più volatiliti come alimentari e energia, ndr) sia complessivamente inferiore alle aspettative. Dopo soli dieci anni dalla crisi dei mutui subprime, ora gli Stati Uniti rischiano una nuova bolla, con conseguenze preoccupanti per l’economia globale. Risulta quindi lecito domandarsi: perché si sta assistendo a questo scenario?” si legge nella nota di Notz Stucki.
La risposta parte dall’osservazione che nell’ultimo decennio le politiche monetarie accomodanti hanno sostenuto il valore degli immobili, ma non sono state in grado di creare significativa offerta o, comunque, sufficiente domanda di nuove costruzioni, per almeno due motivi.
Il primo è l’incremento dei prezzi delle case non è stato in linea con la crescita dei salari. “Questa asimmetria non è solo qualcosa che la politica monetaria, così come è ad oggi, non è in grado di affrontare. Si tratta di una situazione che la Federal Reserve ha esasperato, sebbene non intenzionalmente, attraverso bassi tassi di interesse e Quantitative Easing, spingendo alle stelle i prezzi delle case soprattutto nelle città dove gli stipendi sono più alti”.
Il secondo motivo riguarda il legame con l’aumento considerevole dell’ammontare di debito accumulato dagli studenti per potersi permettere di andare al college. “Per tale ragione – scrivono gli analisti – molti di essi, anche dopo aver terminato il percorso di studi, non hanno la possibilità di acquistare case, causando di conseguenza una riduzione della domanda e un aumento degli affitti in modo spropositato, togliendo la possibilità al Paese, in ultima analisi, di creare nuova ricchezza in termini di proprietà immobiliari”.
Il trade off tra redditi e prezzi degli immobili non riguarda soltanto gli Stati Uniti. Si tratta di un fenomeno osservabile in molti altri mercati internazionali: Hong Kong, Londra, Parigi e Singapore. Attenzione però. “Negli Usa, in particolar modo, i prezzi insostenibili del real estate hanno cominciato a vacillare nelle città “bolla” come New York, che storicamente anticipano un crollo su scala nazionale. E l’impatto sull’economia, così come quello sulla politica, può essere importante” affermano gli analisti di Notz Stucki. “Questa situazione potrebbe richiedere una revisione della politica monetaria della Fed, come prendere in considerazione i singoli componenti del tasso di inflazione e non il dato nel suo complesso. Ma se il rischio di questa bolla immobiliare ha dimostrato qualcosa è che le banche centrali non sono in grado di sistemare tutto, senza maggiori investimenti nelle infrastrutture e proposte di politica industriale che si focalizzino più sullo stimolo economico di medio periodo e non tanto sulla politica monetaria”.