Sterlina ai minimi storici, è effetto Brexit. Sul mercato del forex, la valuta britannica ha disegnato una vera e propria parabola discendente all’inizio di questa settimana, dopo l’annuncio del primo ministro britannico Theresa May, che ha dato il via ufficialmente al divorzio del Regno Unito dall’Unione europea.
May ha anche scioccato i mercati, nelle ultime ore, attaccando la politica monetaria a suo avviso eccessivamente espansiva, che è stata adottata dalla Bank of England. Tanto che oggi i trader della City si chiedono per quanto tempo ancora Mark Carney rimarrà governatore della banca centrale.
May ha d’altronde attaccato le principali manovre lanciate dall’istituto:
“Sebbene tassi di interesse ultra bassi e il QE abbiano fornito la medicina di emergenza necessaria dopo il crash finanziario, dobbiamo riconoscere che si sono manifestati anche effetti collaterali negativi”. Ovvero: “la gente proprietaria di asset è diventata più ricca, le persone che ne sono prive hanno sofferto; le persone alle prese con i mutui ne hanno beneficiato, mentre chi ha risparmiato è diventato più povero. C’è bisogno di un cambiamento e noi siamo qui per questo”.
Tornando alla sterlina, fino a oggi, si tratta probabilmente dell’unico asset che ha continuato a scontare la rottura di Londra con Bruxelles.
I dati che arrivano dal fronte macro UK indicano di fatto come i timori sulle conseguenze della Brexit sui fondamentali dell’economia britannica fossero, probabilmente, esagerati. E l’azionario UK rimane ben comprato.
Indicativo il grafico del Wall Street Journal, che riporta il trend della sterlina, facendo notare che la valuta, oltre a viaggiare ai minimi dal 1985 nei confronti del dollaro – dunque al valore più basso in 31 anni – è anche vicina ai valori più bassi nei confronti delle altre valute con cui è comunemente scambiata. Verso l’euro, viaggia vicino al minimo in cinque anni, a 1,135.
Fino a oggi, il valore basso della sterlina non ha destato grandi preoccupazioni nel Regno Unito. Tutt’altro: i recenti sondaggi mostrano come le aziende UK abbiano assistito a un aumento delle esportazioni proprio grazie al deprezzamento della moneta.
Ma ci sono anche diverse implicazioni negative, che si stanno già manifestando: intanto, in termini di valuta locale, il Regno Unito ha dovuto cedere la posizione di quinta economia al mondo alla Francia.
Inoltre, le stesse aziende stanno iniziando tremare alla possibilità di una Brexit non in versione soft, ma di una “Hard Brexit”, in cui il divorzio con l’Ue sia drastico.
Così spiegano gli analisti di PNC Bank al Guardian:
“La posizione del premier May aumenta in modo significativo la possibilità che il Regno Unito rinunci ai diritti di passaporto finanziario e ad altri servizi erogati ai mercati Ue, in cambio di controlli sull’immigrazione. Da segnalare che, stando agli stessi dati rivelati qualche settimana fa dal “Financial Times”, stilati dalla Financial Conduct Authority, sono 5.500 le aziende che hanno sede legale nella City londinese e che beneficiano di tali diritti, riuscendo a vendere servizi finanziari negli altri paesi dell’Unione.
Così come sono 8.000 le società finanziare con sede legale in altri paesi europei che sfruttano in regime di reciprocità gli stessi diritti per fare affari nel Regno Unito.
Fanno notare gli stessi analisti;
“le esportazioni di tali servizi da parte del Regno Unito all’Ue incidono sul Pil britannico per oltre il 4%, il che significa che l’innalzamento di tali barriere provocherebbe uno choc negativo all’economia britannica”.
Per non parlare del crollo oggi sulla borsa di Londra delle quotazioni della compagnia area low cost easyJet, con perdite fino a -8%.
La società ha certificato l’effetto sterlina, dicendo chiaramente agli azionisti di prevedere per quest’anno un calo dei profitti al lordo delle tasse del 28% circa, sulla scia della flessione della valuta, che va a unirsi ad altre preoccupazioni come quella legata alle minori propensioni a viaggiare a causa dei recenti attacchi terroristici.