TORONTO (WSI) – Joseph Stiglitz non compra un’oncia dell’ottimismo che circola in Europa sulla ripresa. Nel giorno in cui la Grecia torna sui mercati dopo quattro anni di esilio e default, il premio Nobel per l’Economia tradisce la sua impazienza: «Il fatto che si celebri l’emissione di un bond sui mercati senza discutere della devastazione che resta nella vita delle persone è semplicemente criminale», dice.
Stiglitz ne parla in una pausa della conferenza Cigi-Inet di Toronto, il nuovo “think tank” sostenuto da George Soros, dove nessuno sembra credere che l’Europa del Sud sia vicina a una svolta. Il governo di Matteo Renzi segnala che il debito salirà quasi al 135% del Pil. Come ridurlo se non con altra austerità? «L’Europa deve capire che deve dare spazio all’Italia perché possa crescere, solo così potrà iniziare a ridurre il debito.
Bisogna agire sul denominatore, cioè sulle dimensioni dell’economia che deve sostenere questo debito. Non attraverso l’austerità di bilancio. L’esempio greco dovrebbe aver insegnato qualcosa: si è cercato di ridurre il debito tramite il rigore di bilancio, ma l’economia è crollata del 25% e ora il debito rispetto al Pil è più alto di prima. È stato letale e fatico a credere che nessuno ne abbia tratto una lezione».
Un’alleanza fra Renzi e il neopremier di Parigi Manuel Valls può spostare gli equilibri europei e correggere la linea della Germania? «Francia e Italia potranno portare una sfida alle scelte perseguite dalla Germania, questo sì. Ma non mi aspetto un cambiamento: il governo tedesco è profondamente trincerato sulle sue posizioni».
Non trova che invece si vedano segnali di ripresa, più forti in America ma visibili anche nei Paesi europei in crisi? «Negli Stati Uniti non sono affatto certo che la crisi sia superata: il reddito medio per abitante è ai livelli di 25 anni fa. Dal 2009 al 2012 il 95% dell’aumento del reddito è andato all’1% della popolazione.
Il restante 99% non ha sentito che la crisi sia finita. E il numero di occupati nel settore privato è tornato ai livelli del 2008 solo il mese scorso, mentre intanto la popolazione è aumentata. Dunque in proporzione l’occupazione è scesa».
E in Europa del Sud quanto lontana trova che sia la ripresa? «In Europa è peggio che in America, trovo difficile capire quest’aria di celebrazione che si respira. Grecia, Spagna o Portogallo hanno subito una caduta del reddito per abitante peggiore che in America durante la grande depressione degli anni ‘30. Sono situazioni tali che bisognerebbe cercare nuove soluzioni, un nuove pensiero economico. Per questo trovo scioccante che l’Europa non abbia fatto altro che cercare di replicare vecchie ricette, in particolare la Germania».
I Paesi del Sud vivono una crisi da eccesso di debito, pubblico e privato. Davvero crede che se ne esca aumentando ancora il debito? «Già prima di questa crisi, c’erano prove schiaccianti che l’austerità non funziona per rispondere a situazioni di questo tipo. Ma la Germania non ha ascoltato e non ascolta».
La Germania chiede ai Paesi in recessione di diventare più competitivi: cosa ci trova di così sbagliato? «Sicuramente alcune riforme interne alle economie colpite dalla recessione contribuirebbero a renderle più efficienti. Ma il problema dell’Europa non è questo. È la struttura stessa dell’euro, privo com’è di una unione bancaria e di risorse di bilancio messe in comune. Si pensava che per ottenere la crescita bastasse tenere un livello basso di inflazione e per una convergenza fra le diverse economie fosse sufficiente rispettare le regole sul deficit e sul debito pubblico. Non è andata così. L’Irlanda e la Spagna hanno rispettato le regole ma per loro non c’è stata nessuna convergenza».
È questo che la rende così negativo sul futuro dell’euro? «Credo che sia un sistema alla base, fondamentalmente instabile e ciò che è accaduto lo dimostra. Uno poi si immaginerebbe che una crisi così induca un ripensamento, soprattutto in Germania, ma non è stato così».
Però gli spread sono scesi moltissimo. Come lo spiega? «È stato il miracolo di Mario Draghi. È riuscito a farsi credere dai mercati quando ha detto che la Banca centrale europea è pronta a fare “whatever it takes”, qualunque cosa, per salvare l’euro. Però c’è ancora molta fragilità, l’umore del mercato può sempre cambiare. E a quel punto bisogna sperare che non mettano alla prova l’impegno di Draghi a fare “qualunque cosa”, perché non è chiaro se potrà fare abbastanza».
Ora ha iniziato a parlare di creare moneta per comprare titoli sul mercato, come la Federal Reserve. «In quel caso, resta da vedere quanto. Perché abbia effetto, dev’essere davvero tanto».
Copyright © La Repubblica. All rights reserved