Gli italiani bocciano inesorabilmente i propri stipendi, soffocati da un’inflazione galoppante, che mediamente è salita dell’8,2% tra il 2021 ed il 2022, con la quale non riescono a tenere in nessun modo il passo: le retribuzioni, infatti, sono cresciute solo del 3,4%. La busta paga riceve una sonora stroncatura da parte degli italiani.
Quando arriva il 27 del mese, la soddisfazione dei lavoratori di fronte al proprio stipendio è sicuramente ai minimi storici. La busta paga riceve 3,8 punti su 10 (la sufficienza sta a 5). A scattare una fotografia della situazione ci ha pensato la rilevazione Salary Satisfaction 2023, che è stata realizzata direttamente dall’Osservatorio JobPricing, in collaborazione con InfoJobs. Uno dei tratti che emerge da questa nuova ricerca è che tra i lavoratori si è disperso quello spirito solidaristico che aveva contraddistinto e caratterizzato la fase del Covid.
Stipendi e inflazione
I dipendenti, mentre c’era la pandemia, erano costretti, in un certo senso, a fare buon viso a cattivo gioco. Tenendo presente le oggettive difficoltà di quel periodo e l’imprevedibilità della crisi sanitaria, avevano dato al proprio stipendio una valutazione che si avvicinava alla sufficienza. Ora come ora questo giochino si è andato ad incrinare. Andando a chiedere ai 1.600 partecipanti all’indagine di andare a rivedere il proprio giudizio alla luce delle difficoltà che sono emerse a seguito dell’inflazione e della guerra, il miglioramento risulta essere solo marginale e si arriva a 4,2 punti su dieci.
Sono diverse le motivazioni che hanno portato molti soggetti a modificare la propria opinione e ad avere una scarsa indulgenza verso il proprio datore di lavoro: sei persone su dieci denunciano l’assenza di politiche di sostegno al salario da parte della propria azienda, in un momento in cui i bilanci delle famiglie risultano essere particolarmente stressati.
Tra le leve che portano a far incrementare la soddisfazione dei lavoratori ci sono eventuali voci sullo stipendio, che vanno a costituire il pacchetto retributivo. Nel momento che c’è solo un fisso, il giudizio precipita a 2,7, mentre sale a 5,1 se ci sono dei benefit, welfare o servizi ai dipendenti, sale ancora a 5,4 con incentivi di lungo termine.
Sicuramente una delle voci ad essere stroncata è quella relativa alla meritocrazia, che riceve solo un 3,3. Le aziende sembrano essere poco propense a ricompensare davvero chi se lo merita. Un po’ meglio sono i giudizi nel momento in cui si parla di competitività con 4,7 punti e se si va a guardare alla fiducia in un futuro migliore dal punto di vista lavorativo (4,8 punti).
I lavoratori si sentono traditi
Sicuramente uno dei fattori decisivi nello scegliere un posto di lavoro è la retribuzione fissa. Ma sicuramente sono al primo posto anche le relazioni positive con capi e colleghi. Filippo Saini, head of job di InfoJobs, spiega che “dopo la pandemia le persone riflettono di più sul loro ruolo di professionisti e sui valori, lavorativi e personali, che hanno la priorità”.
Quando si tratta di cambiare posto di lavoro, due persone su tre si fanno guidare da un miglioramento della busta paga, mentre uno su due prende in considerazione le prospettive di sviluppo di carriera e uno su tre l’equilibrio vita-lavoro.
Se si guarda infine alle differenze di genere, le lavoratrici sono mediamente più insoddisfatte degli uomini in tutte le dimensioni osservate. Sicuramente i gap più significativi vengono registrati nelle dimensioni:
- Performance e retribuzione: 3,2 delle donne contro 3,9 degli uomini;
- Trasparenza: 3,7 delle donne contro 4.4 degli uomini.