A cura di Manlio Marucci, presidente di Federpromm (Federazione Intercategoriale Consulenti Finanziari, operatori dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi)
Di recente si è aperto un vivace appassionato dibattito tra tutti gli operatori del settore sul tema dell’abolizione di commissioni e incentivi a seguito di una proposta comunitaria sulla vendita e distribuzione dei prodotti e servizi d’investimento in Italia, soprattutto agli investitori identificati come clienti retail.
Il tema – già ampiamente affrontato dopo l’entrata in vigore della Mifid II – è di sicuro interesse vista l’attenzione riservata dai media nel dare spazio ai vari stakeholders sul modo come intervenire e superare l’ampia e complessa questione delle commissioni e retrocessioni ai consulenti finanziari. Un tema complesso che a nostro parere va inquadrato all’interno di un sistema legato ai vari modelli di gestione con cui sono stati strutturati nel tempo i processi organizzativi aziendali dai vari intermediari finanziari e più in generale le forme di elaborazione del tipo di politiche gestionali adottate per il business.
Uno scenario che stante i dati forniti da una ricerca di Morningstar (Global Investor Experience Study) le commissioni e spese dei prodotti di investimento generate nel nostro paese ammontano a circa 7 miliardi di euro l’anno. Un valore certamente appetibile per tutti gli operatori del settore.
Attraverso una accurata rassegna stampa curata dal nostro centro studi di Federpromm – afferma il presidente Marucci – si è cercato di analizzare i diversi punti di vista espressi dai vari intermediari, associazioni di categoria, autorevoli esponenti del mondo accademico e professionisti del settore, Punti di vista che molto spesso si pongono in contrapposizione alle decisioni della Commissione Europea di voler abolire le commissioni (cd “inducements”) ovvero di rivedere le modalità di remunerazione della distribuzione dei prodotti finanziari e dell’attività di consulenza in modo da renderli uniformi tra tutti i paesi della stessa comunità europea.
Il punto di vista di Federpromm è sicuramente noto alla comunità finanziaria e in questa circostanza viene riconfermato in modo più obiettivo possibile. Il problema infatti si pone ad un livello analitico più efficace rispetto alla “querelle” in corso ed evidenzia non solo l’aspetto macro economico e finanziario ma un quadro d’insieme sulle diverse normative adottate – come scelte politiche – tra i vari paesi dell’Europa che hanno favorito in modo più o meno trasparente la tutela degli investitori e quindi il pubblico risparmio. Ci siamo posti quindi una metodologia di analisi che ha preso in considerazione le variabili più significative per esprimere un giudizio oggettivo e alcune ipotesi – che a livello della l’evoluzione delle normative esistenti – possa essere da riferimento utile ai fini di inquadrare il “nodo” del conflitto di interesse, i vari modelli distributivi e di consulenza per rendere trasparente l’applicazione della norma comunitaria dopo la Mifid II.
Si sottolinea infatti come l’attuale configurazione della distribuzione dei servizi e strumenti finanziari dell’industria italiana si ponga su posizioni “decisamente contrarie” alle proposte europee e qualora dovesse passare la norma della abolizione delle commissioni, si creerebbero le condizioni per una destabilizzazione di tutto il sistema. In modo particolare dovranno essere riviste le politiche gestionali ed elaborare nuove strategie di vendita; la modifica di tutto il quadro dei rapporti con le società prodotto e Sgr; gli assetti organizzativi che riguardano le società di distribuzione e collocamento, nonché i modelli dei contratti applicati alle figure professionali quali i Cf, agenti, mandatari e subordinati. Tutta l’industria della distribuzione ne sarebbe fortemente penalizzata e quindi costretta a rivedere strutturalmente il proprio business e strategie con costi rilevanti.
Su questo versante sono emblematiche le dichiarazioni avanzate dagli esponenti di Abi (Associazione Bancaria Italiana) e di Assoreti,(Associazione delle Società per la Consulenza agli Investimenti) in sintonia con le posizioni delle organizzazioni degli altri paesi europei quali Francia, Spagna e Germania in contrapposizione a quanto sostenuto invece e in modo egregio da Ascofind (Associazione per la Consulenza Finanziaria Indipendente) e Nafop (Associazione Consulenti Finanziari Autonomi) nonché Consultique in rappresentanza dei consulenti fee-only). Tanto per citarne quelle più interessate al far valere le loro posizioni.
Federpromm (affiliata Uiltucs e Uilca) nella dialettica degli opposti – come ha precisato il presidente Marucci – è sulla stessa lunghezza d’onda con l’analisi evidenziata di recente in un brillante articolo dal prof. G. Santorsola, il quale ha correttamente richiamato l’attenzione su come, il tema di fondo, riguardi la “struttura dei modelli di business” e la “tutela del cliente al dettaglio” che non può essere inquadrata imponendo normative a senso unidirezionale e con un unico modello di servizio, proprio per l’impatto negativo che avrebbe – se introdotto – il divieto degli incentivi per la forma e tipologia già adottata e sperimentata tra i diversi paesi dell’Unione. In particolare, afferma lo stesso prof. Santorsola, sarebbe fortemente penalizzata l’Italia oltre che Francia e Germania avendo adottato un sistema banco-centrico. Né è pensabile adottare nella situazione attuale un modello completamente indipendente (fee-only) fortemente radicato nei paesi anglosassoni e statunitense vista l’arretratezza culturale e la scarsa conoscenza degli strumenti finanziari presente nel nostro paese. In proposito l’ultimo report Consob sulle scelte degli investimenti delle famiglie italiane ne evidenzia lucidamente la condizione oggettiva. (cf. Consob: Rapporto 2022 sulle scelte di investimento della famiglie italiane). Così come crediamo vada fatta chiarezza sulla convenienza del pagamento della “consulenza” ad una fascia di investitori di basso profilo che mancano di una formazione nel settore del risparmio gestito.
Su questo versante – come Federpromm – siamo anche perfettamente in sintonia con la forma più rispondente ed elaborata dallo storico della promozione-consulenza finanziaria in Italia, dr. G. Cassol (già presidente di Solfin sim) che su questo versante ha dedicato una vita nel far comprendere al mercato e alla comunità degli operatori il “modello ideale” di servizio per l’investitore retail e non solo. La letteratura in proposito è ammirevole e vasta.
Per ragioni di spazio non citiamo altri autorevoli esponenti che meritano attenzione ma siamo convinti che sull’argomento il dibattito in corso assumerà una linea di tendenza che, ci auguriamo, porti a valorizzare la nostra tesi – come migliore ipotesi “di valore” – utile a razionalizzare tutto il settore dell’intermediazione finanziaria, creditizia ed assicurativa.
In ultima analisi, se l’obiettivo della proposta comunitaria è quello di scardinare il modello “commission-based remuneration” con quello “fee-based remuneration”, ovvero abolire gli incentivi inseriti nei costi dei vari strumenti finanziari per favorire l’attività della “raccomandazione personalizzata” e non generica da parte del consulente, allora ha un significato preciso che delimita – come crediamo – il servizio solo alla vendita dei prodotti della casa per avere una marginalità dei ricavi che ne consenta la sostenibilità economica della gestione.  Su questo versante non crediamo che le banche, i gruppi bancari e le stesse organizzazioni sindacali del credito siano d’accordo, visti i notevoli margini di utili dichiarati alla stampa in questi giorni. In definitiva la nostra posizione – come Federpromm – è quella di separare l’attività di vendita da quella della consulenza, richiamandoci al concetto di base che per i prodotti da banco (l’esempio della ricetta/farmacia) prevede dei costi compatibili legati al prodotto; mentre per strumenti complessi e più evoluti necessita della diagnosi e delle competenze del professionista (medico), quale il consulente finanziario a parcella.
In sostanza – afferma Marucci -per la tutela del cliente e per neutralizzare il conflitto di interessi attualmente esistente, occorre eliminare la conflittualità tra la figura professionale del consulente finanziario per l’offerta fuori sede e quella di autonomo o indipendente, proprio perché strutturalmente sono due modelli funzionali diversi nel contesto della realtà presente nell’organizzazione dell’industria del risparmio gestito in Italia.