Strage di Brindisi: ci sono video e identikit del terrorista, un borghese con scarpe da vela
È una corsa contro il tempo, quella che gli investigatori stanno facendo a Brindisi. Come sanno tutti, l’autore del delitto va preso entro le prime 24, massimo 48 ore, altrimenti il rischio concreto è che il criminale faccia perdere le proprie tracce. Quelle di chi ha fatto esplodere le tre bombole di gas davanti la scuola Morvillo di Brindisi ci sono. Ma non bastano, per ora.
Il video recuperato dal filmato della telecamera di una banca e visionato a più riprese dagli investigatori – ieri è stato trasmesso dal capoluogo pugliese anche alle autorità di Roma – mostra un uomo di mezza età, vestito in giacca scura, camicia bianca aperta, pantaloni chiari, scarpe da vela. Un medio borghese insomma.
[ARTICLEIMAGE] “Sono immagini terribili” dice il procuratore Marco Dinapoli. Gli elementi a disposizione stanno portando la procura a concentrarsi sulla pista del gesto di un folle. Un pazzo lucido, però, che ha saputo congegnare un sistema dinamitardo con quel minimo di competenza che non è alla portata di tutti. Ora si tratta di catturare l’uomo del video e non si può escludere che ciò avvenga già nelle prossime ore. Il problema vero è che, stando alle fonti investigative consultate dal Sole 24 Ore, il video ritrovato, se apre spiragli nel buio iniziale delle indagini, per ora non è affatto una svolta. «Siamo ancora nella delicatissima fase della raccolta degli indizi, pertanto tutte le ipotesi riferibili alla strage sono ancora all’esame delle autorità inquirenti» ha detto il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso.
Senza contare che c’è tensione tra le procure, quella di Brindisi e la distrettuale antimafia di Lecce. Il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, dinanzi alle telecamere vicino al luogo dell’attentato ha dichiarato che «non c’è alcun sospettato» e non si può dire con certezza che sia un gesto isolato. «Stiamo lavorando su tutte le possibilità e tutte le ipotesi – ha proseguito Motta – perché non abbiamo indicazioni specifiche». In realtà quello che si può sostenre ormai con ragionevole certezza è che, trattandosi di un’attentato esplosivo contro una scuola di ragazzi inermi, la follia ci sia comunque.
Non è affatto chiaro, però, se sia una pazzia isolata o nasconda un disegno criminoso articolato. Come quello di una faida interna alla criminalità locale. O arriva invece a una pista eversiva, di tipo anarco insurrezionalista, che proviene dalla Grecia, approdo a due passi dal porto di Brindisi, tanto che ci sono stati controlli in questo senso. Nonostante alcuni segnali positivi, insomma, sul piano investigativo siamo ancora alla ricerca a tutto campo. Non ci sarebbero invece collegamenti ma solo alcune analogie tra i fatti di Brindisi e quelli accaduti a Castel Volturno (Caserta) dove il 14 maggio scorso fu trovato, a circa 200 metri dall’istituto alberghiero, un ordigno quasi simile a quello utilizzato ieri.
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Un ex ufficiale dell’aeronautica, con un passato vicino ai Servizi, famigliari che vendono bombole di gas e buone conoscenze di ingegneria elettronica. E’ una delle piste seguite ieri dagli investigatori, che lo hanno interrogato a lungo, seguendo l’ipotesi del gesto isolato per l’attacco alla scuola. E assieme all’uomo – secondo quanto riferisce Brindisireport.it, il sito che per ieri ha diffuso le prime immagini dell’attentato – ci sarebbe anche una seconda persona interrogata. Ma quella dell’attentatore folle è solo una – forse la prima – delle piste investigative. Di certo, dice il procuratore di Brindisi, Marco Dinapoli, chi ha piazzato le bombe ha lasciato tracce: “Abbiamo delle buone immagini – ha dichiarato questa mattina – non ce le hanno regalate ce le siamo andate a cercare. Immagini che possiamo ricollegare con quasi certezza all’attentato”. Ieri sera il suo volto, il volto dello Stato, era un volto livido. Sono le otto di sera quando Dinapoli torna nel suo ufficio da procuratore: ha le lacrime agli occhi. “Non possiamo lasciare impunito chiunque abbia agito con questa crudeltà – dice commosso – perché lo Stato deve rendere giustizia all’orrore di queste bambine colpite a morte”.
Intanto si continua a battere ogni pista. Anche quella di un legame con la mafia e una “trattativa bis”, che giunge da ambienti investigativi centrali, mentre, qui a Brindisi, l’ipotesi mafia viene considerata residuale: “Una bassa probabilità” dicono gli inquirenti al termine di una lunghissima riunione. Ma chi ha agito? Le piste più accreditate sono due. Un atto terroristico. Oppure l’opera di un folle. Oppure entrambe: l’atto terroristico di un folle, armato di bombe e risentimenti, capace di fare una strage. Ed è per strage che è stato aperto un fascicolo. Anche il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta, è scettico sull’ipotesi di un attentato mafioso. Di certo c’è solo un fatto: lo Stato sta reagendo. Decine e decine di investigatori arrivano da tutt’Italia. Non c’è ancora alcuna rivendicazione, ma l’idea che quelle bombe possano essere state piazzate da mani esperte, si fa sempre più largo tra gli investigatori. Chi ha agito, ha costruito un ordigno rudimentale, sì, ma sofisticato nell’innesco. “È terrorismo puro” dice il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. Le tracce di una scheda elettronica, utilizzata come impulso per la deflagrazione, è lì a dimostrarlo. È probabile che si stato utilizzato un timer. Non si è esclude l’utilizzo di un telecomando. Si è ipotizzato anche che l’attentatore abbia sottovalutato la potenza degli ordigni. Ma le tracce sembrano dimostrare il contrario.
L’ipotesi investigativa, che ipotizza l‘azione di un folle, è inquientante. Ma è molto meno pericolosa della matrice terroristica. Gli inquirenti hanno controllato le liste degli imbarchi al porto, per la maggior parte navi che traghettano verso la Grecia, e anche lo scenario del terrorismo internazionale, in queste ore, è tenuto in considerazione. Meno della matrice terroristica nazionale, però, anche se l’ipotesi che abbia agito un singolo sembra intatta. “Per un’operazione del genere”, dice un investigatore, è sufficiente anche l’azione di un solo uomo. La pista meno convincente, invece, riguarda la mafia locale, anche se molti elementi, all’inizio, avrebbero potuto far pensare a un attentato della criminalità di Mesagne, patria della Sacra Corona Unita. Il luogo che ha dato i natali al fondatore della Scu, Pino Rogoli. Il 2 maggio scorso era stata fatta saltare in aria l’auto di Fabio Marini, presidente della locale associazione antiracket. E dieci giorni fa un’operazione di polizia, la “Die Hard”, aveva portato in carcere 16 esponenti dei clan, dopo le rivelazioni del pentito Ercole Penna. Il padre di due delle ragazze ferite, Ilaria e Veronica Capodieci, è un imprenditore che collabora con Libera Terre di Puglia. Mai, però, la Sacra Corona Unita ha alzato così il tiro. E comunque vada, la pressione dello Stato, da oggi, nei suoi confronti sarà ancora più pesante. Restano i simboli che riguardano Cosa Nostra: il nome della scuola, Morvillo Falcone, il premio per la legalità ricevuto dallo stesso istituto, la Carovana antimafia in arrivo e la presenza dei familiari di Totò Riina a pochi chilometri, a San Pancrazio Salentino. “I familiari di Riina?”, dice un investigatore, “è una pista che non ci convince: questo è terrorismo. Un terrorismo nuovo. Ma è terrorismo”.
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