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Stress da troppo lavoro: attenti, è rischio demenza

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Roma – Lo stress psicosociale durante la vita correlato al lavoro svolto, in condizioni in cui è basso il livello di comando ed alta la tensione da prestazione richiesta, è stato associato all’aumento del rischio di demenza e disturbi dell’Alzheimer (AD) tra gli anziani.

Sinora gli studi su stress lavorativo e decadimento cognitivo fornivano pochi dati. Il Karolinska Institutet di Stoccolma ha avviato due importanti lavori di ricerca, di cui uno appena pubblicato fornisce interessanti acquisizioni scientifiche sui mutamenti nell’ippocampo, la parte del cervello che svolge un ruolo importante nei processi di memoria ed orientamento.

Il Direttore del Centro di Ricerca Invecchiamento (ARC) è Laura Fratiglioni, che segue principalmente l’Epidemiologia delle malattie neurodegenerative nell’anziano. Tutti i residenti nel quartiere di Kungsholmen dai 75 anni in sù alla data del 1° Ottobre 1987 hanno ricevuto l’invito a sottoporsi a periodici colloqui ed esami clinici con un’informazione dettagliata sul programma scientifico.

Tra i 1810 partecipanti iniziali, 1473 sono stati diagnosticati come dementi e seguiti per 6 anni, in cui essi sono stati esaminati due volte (1991-1993 primo follow-up, 1994-1996 secondo follow-up). Successivamente, 172 soggetti hanno rifiutato di partecipare agli esami di controllo o si sono trasferiti fuori Stoccolma, 153 sono deceduti, su 217 non c’erano sufficienti informazioni dell’attività svolta, 18 erano sempre state casalinghe. Di conseguenza, il campione si è ridotto a 913 persone anziane.

Durante il periodo di osservazione 260 soggetti hanno sviluppato demenza, a 197 sono stati diagnosticati disturbi dell’Alzheimer. Si sono ammalate più donne che uomini, avevano sofferto di depressione, modesto livello di istruzione, e nella vita lavorativa avevano ricoperto mansioni con basso controllo e bassa richiesta (dato significativo confrontato con anziane che non hanno sviluppato demenza).

Nel 2012 gli Scienziati hanno tratto le prime conclusioni, contenute in uno dei lavori ritenuto tra i più importanti del 12th International Springfield Symposium on Advances in Alzheimer Therapy. “Non ci rivolgiamo a volontari, si cerca di avere un campione il più possibile vicino alla popolazione, dunque non facciamo alcuna selezione – premette la Professoressa Laura Fratiglioni – . Si sa benissimo che i volontari sono un gruppo particolare, nel senso che, di solito, hanno uno speciale interesse per la propria salute, oppure hanno problemi economici, poiché a volte ricevono rimborsi. In primo luogo abbiamo evitato che eccezionali motivazioni influenzassero l’esito dello studio. Noi rimborsiamo nulla. Inoltre, ogni persona ha continuato a condurre la propria vita. I dati sono stati raccolti ogni tre anni attraverso visite mediche ed interviste.”

Il maggior rischio per la salute fisica e mentale da stress si verifica per i lavoratori di fronte ad elevati carichi di lavoro e pressioni psicologiche se essi non hanno a disposizione funzioni di controllo adeguate per soddisfare le richieste. Aumentano le probabilità di malattie cardiovascolari, ma si sa anche che i fattori che agiscono nella mezza età hanno un ruolo rilevante nell’invecchiamento cerebrale.

Subdolo il rischio derivante da stress lavorativo passivo, associato a depressione, ansia. L’adattamento alla situazione cronica può causare ridotta capacità di risolvere i problemi, affrontare nuovi impegni, generando sentimenti di depressione, con conseguente riduzione di comunicazione neuronale, che si manifesta con frustrazione e noia, ed ulteriore perdita della funzione cerebrale.

I ricercatori hanno articolato il loro programma di studio partendo dalla premessa che lo stress è associato a fattori coinvolti nella patogenesi e progressione della demenza, come i disturbi vascolari. Dunque, è probabile che lo stress psicologico sul posto di lavoro sia correlato al rischio di demenza. Lo stress interagisce nei processi biologici con iperattivazione e disregolazione del sistema nervoso autonomo e dell’asse ipotalamo-corteccia del surrene, influenzando l’invecchiamento cognitivo a causa degli effetti sulla regione dell’ippocampo. Inoltre, elevati livelli di cortisolo sono stati ripetutamente registrati in persone dementi. In sintesi, sovrastimolazione (lavoro che comporta alta tensione) e sottostimolazione (stress lavorativo passivo) porterebbero al ritiro dei neuroni ed atrofia, infine alla demenza.

“Nel 2000 abbiamo iniziato un nuovo studio con persone più giovani poiché ci siamo resi conto – illustra Fratiglioni – che si mancavano dati sulla fascia di popolazione che si avvia all’invecchiamento. Abbiamo un gruppo ‘random’ di 3600 persone sopra i 60 anni e stiamo osservando che cosa accade dall’età adulta a quella anziana. Chi ha superato i 60 anni viene contattato ogni sei anni, ovviamente il campione over 75 anni ogni tre anni. L’esame è veramente approfondito: dura 5-6 ore, di cui oltre un’ora per la visita medica (elettrocardiogramma, esame alle vie respiratorie, esame neurologico, i valori della pressione vengono registrati più volte), nel tempo restante ogni persona resta a colloquio con un’infermiera che raccoglie dati sugli aspetti sociali della vita, i rapporti familiari, le prove di equilibrio. Per le persone pià anziane sentiamo anche i ‘caregivers’. Anche se oltre ai caregivers in Svezia ci sono servizi di assistenza continui: per fare la spesa, per alzare il malato dalla carrozzella, per la cura dell’igiene personale, sino al momento di andar a letto. Un’assistenza sociale a vari livelli, per tutte le persone che hanno problemi.”

Uomini e donne hanno un tipo di risposta uguale, o la donna è più a rischio?

“Gli uomini tendono ad andar incontro ad una mortalità più precoce e coloro che raggiungono l’età anziana può darsi siano una selezione degli organismi più forti. Dopo 85 anni il rischio di decadimento cognitivo è maggiore nella donna, e non abbiamo capito il perché. Negli Anni ’90 avevo pensato che la donna, che resta sola anzitempo rispetto all’uomo, soffrisse nella solitudine una rilevante mancanza di stimolo sociale ed intellettuale, e poiché spesso gli uomini sposano donne più giovani la casistica appare differente. Ma cogli anni ho verificato che neppure questa è una spiegazione sufficiente.”

I soggetti erano consapevoli dei livelli di stress?

“Nel prendere un campione della popolazione ci troviamo ovviamente ad esaminare la persona sana, la persona che inizia a dire che ha problemi di memoria e li ha, chi lamenta problemi e non li ha, noi abbiamo un range ampissimo. Non misuriamo l’attività biochimica intracerebrale, facciamo esami clinici, con esami sierologici e Risonanza, solo strutturale. Le primissime conclusioni ci portano a dire che solo nel 30-40 % dei casi con demenza sopra i 75 anni si può parlare di Alzheimer. Come si sa, la demenza è un processo che inizia prima che si possano cogliere sintomi evidenti e gli stili di vita nell’eta medio-adulta sono importanti. Perciò consigliamo il controllo dei fattori di rischio vascolare già a 50-60 anni e di rimanere attivi fisicamente e socialmente integrati.”
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