*Beppe Scienza e’ professore all’Università degli Studi di Torino,
Dipartimento di Matematica. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – A qualche mese dal crac della Lehman Brothers merita ritornare sull’argomento, perché ne sono uscite di tutti i colori. Lasciamo perdere i soliti campioni del senno del poi, quando io stesso non mi vanto di averlo previsto, anche se avrei qualche titolo per farlo.
Infatti già nella prima edizione del mio libro “Fondi, polizze e Parmalat. Chi è peggio?”, confrontavo a fine 2003 due prestiti indicizzati all’inflazione, uno della Francia e uno della Lehman Brothers. A parte altre considerazioni scrivevo a pag. 75: “Badare al rating dello Stato francese è superfluo: alla scadenza la Francia esisterà e pagherà puntualmente i suoi debiti. Che i fratelli Lehman nel 2013 esisteranno ancora, come società, è invece incerto”.
Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Costa meno di 1 euro al giorno. Clicca sul
link INSIDER
Ma ciò non significava presagire il tracollo della società nel giro di un lustro, bensì sostenere l’inaffidabilità del rating, allora tanto apprezzato da molti gestori, venditori e pretesi esperti. Vedi Angelo Drusiani che sul Sole 24 Ore scriveva: “Investire in titoli che abbiano almeno una tripla B, a livello di rating, dovrebbe rappresentare un’ottima opportunità. L’unico rischio, in questo caso, potrebbe essere quello di un calo del grado di affidabilità ma null’altro” (21-2-2002 p. 39).
Invece era chiaro già col senno del prima che poteva anche capitare qualcos’altro, come infatti accade con le Parmalat o le Lehman Brothers, quest’ultime addirittura con rating a livello A+. Il problema è che nel dare consigli ai risparmiatori il quotidiano confindustriale proprio non ci prende.
Alimentare le illusioni. Esaminiamo infatti un servizio di Federica Pezzatti apparso subito dopo l’insolvenza della Lehman Brothers. Il titolo non lascia spazio a equivoci: “Salvi i bond comprati negli ultimi 12 mesi”. Essa intervista un avvocato e docente di diritto commerciale (Edoardo Spano) il quale avrebbe affermato che «la modifica del Tuf del 2005 ha introdotto l’obbligo della banca di rispondere per i bond venduti nei 12 mesi antecedenti a un default» (Plus24, 20-9-2008 p. 6). Letto ciò, molti hanno creduto di essere salvi.
Peccato che il Testo unico della finanza (Tuf) non preveda affatto un tale obbligo, tanto che viene da chiedersi se davvero il giornale abbia riportato fedelmente la risposta. In realtà il Tuf contempla all’art. 100-bis l’obbligo di rispondere in caso di insolvenza dell’emittente per gli intermediari che trasferiscano prodotti finanziari “per la durata di un anno dall’emissione” o nel caso che “essi vengano sistematicamente rivenduti nei dodici mesi successivi a un collocamento”.
Quindi tutt’altra cosa. La banca risponde semmai se il titolo venduto è stato emesso da meno di un anno, non se travolto da un fallimento entro un anno dalla vendita. Restano fuori quindi tutte le Lehman Brothers comprate magari anche nel corso del 2008 ma emesse anni prima. Contrariamente al titolo del servizio di Federica Pezzatti sul Sole 24 Ore.
Senza pretendere da una testata economica italiana una qualche competenza nella materie di cui si occupa, bastava il buon senso per rendersi conto l’obbligo enunciato era assurdo. Equivarrebbe a spronare gli speculatori a comprare i titoli delle società sull’orlo del fallimento, facendo conto che alla mala parata arriverebbe l’indennizzo della banca.
Tutto troppo facile. Non s’illudano neppure i risparmiatori incastrati in polizze vita appoggiate a obbligazioni ugualmente della Lehman Brothers. Fra le associazioni di consumatori c’è infatti chi la fa molto semplice. Nel corso della trasmissione “Striscia La Notizia” del 5-11-2008 il Codacons ha presentato una soluzione bell’e pronta. La fornirebbe il decreto Bersani, che permette di recedere da polizze pluriennali anche prima della scadenza.
Peccato che tale norma non valga per le polizze vita. Al che il Codacons ha aggiunto nel suo sito che le fattispecie in questione sarebbero polizze miste, termine già poco chiaro, perché con polizze miste s’intendono in genere le polizze sia per il caso di vita che per il caso di morte. In ogni caso non c’è da sperare che basti richiamarsi al decreto Bersani per ottenere indietro i soldi dalla compagnia di assicurazione. Anzi, ciò potrebbe essere inopportuno, perché significherebbe ammettere senza riserve che tali contratti sono polizze assicurative.
Potrebbe avere più senso un’impostazione diversa. Interessante al riguardo una causa presso il Tribunale di Trani, condotta dall’avvocato Domenico Romito per una polizza unit linked della Cattolica Assicurazioni, conclusasi il 30-4-2008 con la condanna della Banca Popolare di Bari. Essa ha dovuto risarcire la risparmiatrice interessata, proprio perché è stato riconosciuto che anche per tali contratti è applicabile la normativa, più cautelativa, prevista per l’intermediazione finanziaria.
Economisti ritardatari. Ma anche i docenti universitari vogliono fare la loro brava brutta figura. In particolari quel gruppo di economisti che, raggruppati solo la sigla LaVoce.it, da alcuni anni impartiscono lezioni a dritta e a manca. Prendiamo infatti la ridicola iniziativa Patti Chiari delle banche italiane col suo elenco di obbligazioni “a basso rischio”. Esso è stato oscurato il 29-11-2008, dopo aver superato il limite della decenza. Continuava infatti a consigliare obbligazioni della Lehman Brothers addirittura la mattina del 15-9-2008, quando ormai era acclarato che la società era andata a gambe all’aria.
Ma fin dall’inizio l’elenco di obbligazioni di Patti Chiari appariva in tutta la sua insulsaggine, incoerenza e anche pericolosità. Bastava un minimo di competenza in materia per accorgersene. Io stesso nel mio piccolo denunciai subito la presenza di titoli ballerini come le Cit Group 5,5% 2005, delle islandesi Kaupthing, di trappole fiscali ecc. (la Repubblica, 19-1-2004, p. 39). Tornai sull’argomento l’anno dopo per le Ford 11-5-2007, crollate in barba al preteso “basso rischio” (la Repubblica, 23-5-2005, p. 43). Ma anche Finanza & Mercati denunciò la presenza in Patti Chiari di obbligazioni Northern Rock, ormai sull’orlo del fallimento (16-9-2007, p. 1).
Invece le menti eccelse de LaVoce.it si astengono dal criticarla, finché quella lista di obbligazioni causa danni. Si fanno vivi invece non solo successivamente alla figuraccia con le Lehman Brothers, ma addirittura quindici giorni dopo la sua chiusura: è datato 16-12-2008 un intervento firmato Marco Bigelli e Stefano Mengoli. I quali però, anziché intonare il de profundis per quella ridicola iniziativa, formulano proposte per migliorarla.
Tutto questo è grave e promette male. Chi si accinge a fare fessi i risparmiatori italiani può stare sereno. Finché gli farà comodo, non arriveranno critiche dalla quasi totalità dei docenti universitari italiani. Solo quando i disastri saranno venuti alla luce, solo allora economisti più o meno autorevoli saranno pronti a dotte osservazioni, autorevoli consigli ecc.
Ridiamoci su. Per finire una citazione che è addirittura divertente. Nel suo solito stile di fornire un altoparlante ai chiaroveggenti ora di una banca, ora di una finanziaria ecc., il quotidiano dalla Confindustria intervista Paola Biraschi di Lehman Brothers. Evidentemente il Sole 24 Ore la riteneva in grado di prevedere il futuro (Plus24, 2-2-2008, p. 11), altrimenti non le avrebbe dato spazio.
Ma ecco l’attacco dell’articolo: “Il peggio? Potrebbe ancora venire. È quanto sostiene Lehman Brothers in una ricerca sul mondo del credito, con una finestra dedicata agli istituti italiani”. In effetti il peggio è arrivato, ma non si è abbattuto tanto sulle banche italiane, quanto piuttosto e soprattutto sulla Lehman Brothers stessa, arrivando anche alla rapida chiusura della sua filiale italiana.
Copyright © Libero Mercato. All rights reserved