Roma – Il paradiso fiscale rischia di diventare un inferno. Gli italiani che continuano a depositare fondi in conti offshore svizzeri con l’obiettivo di mettere al riparo la propria fortuna sono avvisati: la Svizzera sta lentamente ma inesorabilmente perdendo il suo status privilegiato di cassaforte che garantisce un prelievo in termini di tasse molto basso e regole particolarmente rigide sul segreto bancario, che consentono di compiere transazioni coperte.
Berna e’ stata per tanto tempo una sorta di atollo fiscale nel cuore d’Europa, da dove gestiva i conti offshore di migliaia di ricchi clienti anonimi. Ma con l’implementazione dei programmi di condono fiscale firmati con Usa, Germania, Regno Unito, Austria (anche l’Italia e’ in lizza) e con l’autodenuncia da parte della clientela che vuole ripulirsi, le banche dovranno abituarsi a una nuova difficile realta’.
Chi non si sapra’ adattare morira’ di una lenta morte, secondo Francois Reyl, Cfo del ginevrino Reyl Group, che in un’intervista a Bloomberg ha spiegato qual e’ il futuro del credito elvetico di fronte all’allargamento degli accordi contro l’evasione fiscale partiti dagli Usa e in seguito raggiunti anche con diversi Stati europei.
UBS e Credit Suisse formano, insieme a Goldman Sachs, il trio di testa tra le banche che gestiscono il maggior numero di asset offshore, che a fine 2010 era pari – nel suo complesso – da 21 fino a 32 mila miliardi di dollari, piu’ dell’economia di Giappone e Stati Uniti messe insieme. Lo rivela un report (VEDI VIDEO SOTTO), “The Price of Offshore Revisted for the Tax Justice Network”, scritto da James Henry, che per arrivare alla conclusione si e’ servito dei dati dei singoli governi nazionali, di quelli della Bank of International Settlements, del Fondo Monetario e della Banca Mondiale.
La perdita di risorse provenienti dal gettito fiscale fa una bella differenza per gli stati che devono fare i conti con la crisi, mostrando che la maggior parte dei paesi indebitati sarebbe in realta’ in salute se i patrimoni offshore degli ultra ricchi non finessero nelle mani delle banche private.
La sola strada percorribile per queste banche elvetiche in futuro, una volta che le nuove regole entreranno in vigore, e’ quella di attirare una nuova clientela di ricchi e benestanti.
Va detto che in Svizzera c’e’ anche chi si ribella alle cifre ‘semplificative’ dei conti offshore e alle accuse senza ragionamento alcuno, sostenendo che prima di tutto il paese attira imprenditori e non solo grandi fortune. Secondo uno studio realizzato da BAK Basel Ecomics la pressione fiscale esercitata sulle societa’ svizzere e’ diminuita nella quasi totalita’ dei 19 cantoni presi in esame. L’imposta federale per tutta la nazione e’ dell’8,5%. Naturale che Berna attiri investimenti.
Al contrario dei colleghi europei, i manager dei fondi svizzeri non sono sottoposti alle norme di supervisione imposte dall’autorita’ di controllo dei mercati finanziari (FINMA nell’acronimo inglese). Tale anomalia e’ pero’ destinata a scomparire. I gestori di Zurigo e Ginevra sono rimasti scioccati dalla svolta, come riferito a Wall Street Italia da fonti interne a Ubs e Deutsche Bank.
Tuttavia, anche se la legge dovesse ‘uccidere’ gli investimenti offshore, i manager sono convinti che l’industria finanziaria sopravvivera’. Ne uscira’ indebolita, ma non battuta. Anche perche’ i gestori si sono preparati per tempo – ben prima dell’iniziativa della FINMA – alla morte del modello offshore, anche per il bene dei propri clienti.
Contestualizzando il problema, non va dimenticato che una cosa sono le banche, un’altra cosa e’ la piazza finanziaria elvetica. Quest’ultima, che esercita un’influenza importante sulla crescita del paese, ne uscira’ molto piu’ compromessa dei singoli istituti. Come spiega con l’acume che la contraddistingue la giornalista economica svizzera Myret Zaki, per piazza finanziaria si intende l’insieme dei conti depositati nella banche domiciliate in Svizzera e di conseguenza anche il numero di posti di lavoro creati dagli istituti di credito.
“Assisteremo a una discesa agli inferi”, avverte Zaki, “perche’ questa piazza finanziaria beneficiava della stabilita’ giuridica svizzera e sopratutto del segreto bancario che ormai dal 2009 non protegge piu’ l’evasione fiscale”. Ovvero da quando gli Stati Uniti hanno costretto per la prima volta la Svizzera a rendere noti i nomi di 4.500 clienti americani. Berna ha accettato lo scambio di informazioni fiscali, un’intesa basata sugli standard imposti dall’Ocse.
Una legge svizzera federale sui risparmi e le banche, approvata l’8 novembre del 1934, vieta a chiunque, persino al governo svizzero, di avere accesso alle informazioni sul detentore di un conto bancario nella nazione. Senza modificarla, il Consiglio federale svizzero e’ riuscito ad autorizzare le banche a collaborare con i governi stranieri, purche’ non vengano violate le leggi sulla protezione dei dati sensibili, le disposizioni del codice degli obblighi stipulati nel contratto di lavoro e la legge sulle banche, che impedisce la pubblicazione dei nomi dei clienti. Le condizioni alle quali una banca puo’ rendere noti dati e informazioni riguardanti i suoi dipendenti e clienti vengono dunque stabilite dal rapporto di diritto che lega l’istituto ai lavoratori e ai soggetti terzi coinvolti.
Cedendo negli ultimi due anni alle pressioni internazionali, Berna ha perso buona parte della sua competivita’ e subira’ una riduzione importante dei posti di lavoro nell’industria finanziaria, con le stime non ufficiali che parlano di 20.000 tagli al personale, la maggior parte dei quali saranno concentrati nelle attivita’ del settore privato. “Assistiamo in tutte le banche – dice Zaki, grande conoscitrice del mondo della finanza elvetica – a un graduale smantellamento della gestione delle ricchezze offshore europee”, ovvero patrimoni non dichiarati al fisco depositati da clienti stranieri venuti dall’Europa.
Gli accordi firmati con Germania e Regno Unito l’anno scorso, e con l’Austria quest’anno, vanno sotto il nome di Rubik e concedono agli evasori la possibilita’ di uscirne ‘puliti’, legalizzando i conti nascosti nelle casseforti svizzere, spostandoli direttamente nel Tesoro tedesco e britannico in via anonima, dando pero’ allo stesso tempo un bello “schiaffo in faccia ai cittadini onesti”, come dichiarato da Sigmar Gabriel, leader del partito Socialdemocratico tedesco (SPD).
A innervosire l’opposizione tedesca e’ il fatto che, per effetto dell’accordo, dei 130-180 miliardi di euro depositati nei conti offshore elvetici, il governo rivedra’ solamente 1,7 miliardi. Al Tesoro di Londra invece dovrebbero rientrare 5 miliardi di sterline (8,25 miliardi di dollari), secondo le stime del governo. La ministro svizzero delle Finanze Eveline Widmer-Schlumpf ha spiegato che le intese strette con i paesi vicini in materia di condono fiscale dimostrano che la Svizzera fa sul serio e che vuole voltare pagina. Allo studio ci sono accordi simili anche con Grecia, Spagna e Italia, la quale si attende un introito nella migliore delle ipotesi tra i 10 e i 15 miliardi riferito all’emersione di capitali. La Francia invece per ora ha risposto no grazie.
Secondo le stime di Herbert Hensle di Cap Gemini SA, riportate da Bloomberg, la somma che gli europei potrebbero prelevare dai conti svizzeri tocchera’ i 135 miliardi di franchi (139 miliardi di dollari), equivalenti al 15% degli asset complessivi in loro possesso. Il gruppo bancario Sarasin & Cie. AG ha comunicato la scorsa settimana che i clienti privati hanno ritirato 3 miliardi di franchi negli ultimi 12 mesi conclusisi in giugno. Un altro caso e’ quello di EFG International AG, la banca svizzera controllata dal miliardario Spiro Latsis: il mese scorso ha registrato deflussi dall’Europa continentale nel primo semestre, mentre i nuovi risparmi dei clienti privati depositati presso il gruppo Vontobel sono calati dell’86% rispetto a un anno prima, attestandosi a quota 100 milioni di franchi.
La nuova strategia finanziaria, che prevede di accettare solo asset tassati, spingera’ clienti americani ed europei a lasciare gradualmente la piazza finanziaria svizzera e alcuni gestori si ritroveranno letteralmente senza piu’ portafoglio. Non avranno piu’ una clientala, dunque non avranno piu’ lavoro da offrire. E diventera’ obbligatorio reinventarsi. Ci sono voluti anni perche’ Berna accettasse il fatto che il suo sistema bancario avesse bisogno di una ‘ripulita’, ma nel frattempo e’ riuscita a cucirsi addosso l’immagine di paese economicamente stabile e quella difficilmente verra’ cancellata in fretta.
Ad ogni modo “il paradiso fiscale e’ destinato a diventare una specie d’inferno”, secondo l’opinionista. La ‘colpa’ originale e’ principalmente degli americani, che hanno abolito il secreto bancario, indebolendo la piazza finanziaria svizzera. Prima che il governo Usa facesse causa a Ubs, il 19 febbraio 2009, le banche svizzere hanno accumulato un terzo del patrimonio offshore mondiale nei 75 anni successivi alla legge del ’34. Pubblicare i dati di 52 mila clienti americani presunti evasori.
“Il paradosso e’ che i contribuenti americani coinvolti nei casi di Ubs e Credit Suisse rappresentavano solo una fetta minima del totale degli evasori”. Meno del 2% di statunitensi, infatti, nascondono i loro averi in Svizzera, mentre il 98% preferisce metterli al sicuro nelle isole Cayman e in altri paradisi fiscali anglosassoni.
I paesi europei, da parte loro, hanno invece motivazioni piu’ forti e ragioni piu’ comprensibili, avendo molti piu’ soldi rubati al fisco da recuperare potenzialmente in Svizzera. Ci sono circa mille miliardi di euro di denaro non dichiarato che proviene soltanto da Germania, Francia, Italia e Spagna.
L’ormai ex paradiso fiscale e’ destinato a uscirne impoverito: il settore bancario contava fino a ieri il 12% del Pil svizzero. La meta’ di questa cifra proviene dalla gestione dei patrimoni offshore. Come ha avvisato il fondatore della banca privata omonima Ivan Pictet, l’apporto degli istituti di credito scendera’ dal 12 al 6%. In tre anni perso gia’ il 3%. Se e’ un calo molto intenso oggi, nei prossimi anni sara’ ancora piu’ imponente.
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