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Svizzera, nuovo blitz del fisco sui capitali all’estero

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ROMA (WSI) – Il fisco italiano non aspetterà più che i contribuenti con denaro e beni depositati all’estero facciano richiesta di rientro di capitali per regolarizzare la propria posizione: ora è l’Agenzia delle Entrate a entrare in azione, a cominciare dalla Svizzera.

Per dare la caccia al contante l’Agenzia del fisco sta preparando le richieste collettive di dati. Significa che le autorità italiane chiederanno e otterranno i dati dei clienti italiani che hanno aperto un conto bancario all’estero. La condivisione dei dati è possibile in quei paesi che hanno firmato un accordo per lo scambio di informazioni, come la Svizzera, dove è venuto a cadere il segreto bancario.

Dal paese elvetico, atollo fiscale transalpino, si è concentrato il  70% delle attività con l’ultima operazione di rientro dei capitali emersi. Da parte sua la Svizzera ha i mezzi adeguati per collaborare al meglio: l’operazione del fisco italiano ricalca difatti quelle già condotte da Francia, Olanda e Spagna.

Tutto è pronto, insomma, per arricchire ulteriormente il patrimonio informativo già disponibile e già aumentato grazie alle pratiche relative alle quasi 130mila richieste di adesione alla prima versione della voluntary disclosure. Come sottolinea Il Sole 24 Ore “non ci si fermerà alla Svizzera, perché gli accordi stipulati nel 2015 offriranno nuove opportunità”.

 

La misura di raccolta dati, la cui prossima tappa pare sarà il Lussemburgo, si inquadra nell’ambito della seconda tornata della voluntary disclosure, che sarà operativa a partire dalla legge di stabilità da poco approvata e che si protrarrà per tutto il 2017. L’obiettivo del governo è fare rientrare i capitali non ancora dichiarati nella prima voluntary disclosure.

Come sottolineato a Wall Street Italia dall’avvocato Fabio Ciani, che ha fatto parte della commissione del Consiglio Nazionale Forense che ha revisionato il testo sulla prima versione della voluntary disclosure, l’altra novità è quella dell’aliquota proposta dal governo. Per ottenere il migliore risultato possibili, le autorità stanno cercando di trovare un compromesso, una sorta di aliquota flat che si smarchi dal profilo dimostrativo dell’origine del contante, ovvero dalla sua formazione in anni non più accertabili.

“E’ probabile che questo si traduca operativamente in una certificazione terza da parte della guardia di finanza o dell’agenzia delle entrate sulla provenienza dell’evasione. La proposta di una aliquota flat ovvero proporzionale sui contanti detenuti nelle cassette di sicurezza riguarderebbe anche i beni ivi detenuti”.

In questo modo, spiega in una email il tributarista e consulente dello Studio legale internazionale Tonucci & Partners, “il contante verrebbe riemerso superando i ben noti problemi dimostrativi relativi alla cronologia dell’evasione ovvero la sua formazione storica. Nella proposta sulla quale si sta trovando faticosamente la quadra, è prevista una tassazione con aliquota convenzionale a due cifre sull’entità totale degli averi delle cassette di sicurezza”.

Per quanto riguarda invece i conti corrente bancari se l’origine personale o meno del denaro è incerta, la soluzione del Ministro dell’Economia e delle Finanze “si tradurrebbe in una bonifica dei versamenti non giustificati e dei prelievi (questi ultimi tassati tuttavia con aliquote minori)”.

L’ipotesi di proporre due aliquote differenti, al 15 e al 35% a seconda del giro che hanno fatto le somme di denaro, è stata aspramente criticata dalle opposizioni che hanno parlato di “condono fiscale”. La procedura della voluntary disclosure bis, tuttavia, non annullerebbe gli eventuali reati commessi, come il riciclaggio del denaro.

Se la somma è stata prelevata da un conto corrente e poi depositato in una cassetta di sicurezza all’estero l’aliquota è del 15%, se invece si è trattato di contanti trasferiti direttamente in una cassetta di sicurezza, senza passare da un conto in banca, la percentuale dell’imposta da versare sale al 35%.