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Fautori della reflazione vs attendisti: perché secondo State Street Global Advisor è presto per parlare di reflazione. L’opinione del chief economist.
Sulla crescita paure sembrano essere rientrate ma si intensificano nubi riguardo alla perdita di slancio dell’inflazione. Mosse banche centrali favoriscono l’azionario.
Secondo Mohammed El-Erian gli investitori stanno riversando nei mercati la quota dei profitti crescente e la liquidità fornita dalle banche centrali
L’inflazione dei Paesi Ocse è cresciuta a febbraio ai massimi degli ultimi cinque anni, un risultato che dipende soprattutto dalla ripresa dei prezzi dell’energia, in crescita all’11,1%. La crescita dei prezzi è stata fra le più sostenute negli Stati Uniti. L’inflazione “core”, depurata delle componenti più volatili del paniere è rimasta sostanzialmente stabile.
Dopo la febbre cupa di inizio 2016 e dopo la reazione nevrotica seguita alle elezioni Usa “siamo entrati in una fase di calma e di equilibrio. Godiamocela, finché dura”.
Le prossime mosse di politica monetaria della Bce e l’ordine nel quale verranno adottate non sono state ancora decise dal board della banca centrale e potrebbero anche prevedere un rialzo dei tassi e la vendita di bond. Lo ha detto uno dei membri del board della Bundesbank. Le parole del politico ex CSU (partito alleato
Forti dell’esperienza del 2016 in cui ogni minaccia politica si è tradotta con un passo avanti verso il rafforzamento del sostegno fiscale e la conferma del sostegno monetario delle Banche Centrali, i mercati continuano a deliziarsi della ripresa ciclica più solida dalla fine della grande crisi finanziaria. Il ciclo statunitense è già in fase avanzata,
Gestore illustra i potenziali vincitori e vinti del reflation trade. Maggiore dispersione titoli consente a strategia long/short di beneficiare di entrambi.
C’entrano la Cina, dove economia e inflazione si stanno surriscaldando e bolla del credito si sta gonfiando, e i timori di stagflazione mondiale.
Partita completamente riaperta dopo il rimescolamento delle carte in gioco: Trump ha tirato fuori l’arma “nucleare” definitiva: il protezionismo.