Economia

Taglio del cuneo fiscale, l’ombra dei redditi sopra i 35 mila euro lordi

La Legge di Bilancio per l’anno 2024 ha confermato l’aumento del taglio del cuneo fiscale, una misura significativa che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica. Secondo la nuova normativa, il taglio viene incrementato al 7% per i redditi fino a 25.000 euro e al 6% per quelli fino a 35.000 euro. Tuttavia, dietro a questa iniziativa si cela un paradosso, come evidenziato dalla presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, durante la sua presentazione davanti alle Commissioni Bilancio congiunte.

Cavallari ha spiegato il paradosso con chiarezza: “La modalità per fasce fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro“. Questo significa che, superata questa soglia, anche di un solo euro, si verificherebbe una perdita sostanziale, pari a circa 1.100 euro. In pratica, nonostante l’aumento del taglio del cuneo fiscale, vi è un limite netto al beneficio che un lavoratore può ottenere, il che solleva interrogativi sul reale impatto positivo per coloro che superano la soglia dei 35.000 euro lordi.

Il paradosso del cuneo fiscale: lo sconto per fasce e non per scaglioni

In altri termini, poiché il taglio del cuneo fiscale avviene per fasce, la riduzione di 7 punti percentuali è applicata mensilmente ai lavoratori la cui retribuzione di riferimento (imponibile previdenziale determinato mensilmente e comprensivo del rateo di tredicesima) non supera 1.923 euro, ovvero circa 25.000 euro annui considerando tredici mensilità; lo sconto scende al 6 per cento sull’intera retribuzione quando questa supera la soglia e fino all’importo di 2.692 euro, circa 35.000 euro annui. Quindi questo sconto non si applica alla tredicesima, il che influisce sull’incidenza effettiva, che è di 6,5 e 5,5 punti percentuali nelle due fasce di decontribuzione (25.000 e 35.000 euro).
Lo sgravio raggiunge un massimo di circa 1.600 euro in corrispondenza del limite superiore della prima fascia e di poco più di 1.900 euro in corrispondenza di quello della seconda fascia. Tuttavia, l’applicazione dello sconto in modo graduale per fasce, anziché per scaglioni, introduce una dinamica particolare: superare la prima fascia di solo un euro comporta una riduzione dell’agevolazione di circa 150 euro, influenzando così in modo limitato il reddito disponibile. In contrasto, la riduzione del reddito disponibile risulta notevolmente più significativa, pari a circa 1.100 euro, nel caso in cui la retribuzione lorda superi la soglia critica di 35.000 euro.

Un disincentivo a lavorare e guadagnare di più

Un fenomeno che“, continua Livia Cavallari, “assumerebbe rilevanza sostanziale qualora la decontribuzione dovesse essere trasformata da intervento temporaneo a permanente perché da un lato indurrebbe un forte disincentivo al lavoro e, dall’altro, renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale, questione che assume particolare importanza dopo l’erosione del potere d’acquisto prodotta dall’inflazione“.

L’aumento del salario lordo dovrebbe infatti essere tale da compensare anche la perdita del beneficio contributivo, scontando oltretutto le già elevate aliquote marginali sul versante fiscale. In corrispondenza della seconda soglia, nella situazione attuale, l’incremento necessario si attesterebbe su 2.000 euro circa“, specifica la presidente.

Si osserva un simile effetto a quanto già verificatosi con il “bonus Renzi”. Il severo stop al beneficio oltre i 2.962 euro di retribuzione lorda mensile introduce una notevole discontinuità nel rapporto tra retribuzione lorda e netta. Questa situazione rende poco allettante e vantaggioso, sia per l’azienda che per i dipendenti, considerare un aumento di stipendio. Questo fenomeno rappresenta esattamente l’effetto distorsivo sottolineato dall’Ufficio parlamentare di bilancio.

Per comprendere appieno il contesto, è essenziale chiarire il concetto di cuneo fiscale, che rappresenta la somma totale delle imposte e dei contributi previdenziali versati sia dal datore di lavoro che dal lavoratore. Ridurre il cuneo fiscale, quindi, significa diminuire la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore. Questo si traduce in uno stipendio netto più elevato per il lavoratore, un vantaggio che il Governo intende concedere attraverso il taglio del cuneo fiscale.

In conclusione, il taglio del cuneo fiscale rappresenta un passo significativo per migliorare la situazione finanziaria dei lavoratori dipendenti, ma l’effetto complessivo potrebbe essere limitato per coloro che superano la soglia specificata. L’analisi approfondita di questa disposizione è cruciale per valutare il suo impatto reale sui lavoratori e sulla distribuzione equa dei benefici nell’ambito della politica fiscale.