ROMA (WSI) – È il sogno di chi non ce l’ha. Qualche volta, ad esempio quando il fisco bussa alla porta, si trasforma nell’incubo di chi ce l’ha. La casa rappresenta, secondo gli ultimi dati disponibili della Banca d’Italia, quasi il 60% della ricchezza degli italiani (5 mila miliardi a fronte degli 8 complessivi) e l’amore per il mattone in realtà sta fungendo da ammortizzatore sociale: basti pensare a quale sarebbe la sorte dei pensionati costretti a fare i conti con assegni più magri se avessero anche da pagare un affitto o ai giovani disoccupati che riescono a trovare aiuto dai genitori perché hanno un tetto loro sopra la testa.
Negli ultimi anni la vita di chi vorrebbe o ha già una casa è diventata più difficile per colpa della situazione economica, delle tasse più alte e, delle nuove incombenze burocratiche. Il guaio è che liberarsi dell’immobile sta diventando più complicato.
1 Fisco più caro sulle seconde case
L’opportunità o meno di un’imposta come l’Imu sulla prima casa sta infiammando il dibattito politico da mesi, resta però il fatto che il prelievo del tributo sulle abitazioni principali difficilmente superava lo 0,15% del valore reale dell’immobile.
Giusto o sbagliato che sia si tratta comunque di un’aliquota analoga a quella applicata sui depositi bancari. La vera stangata fiscale è per chi dispone di una casa che non ha le caratteristiche per essere considerata abitazione principale: se le disposizioni sulle tassazioni immobiliare presenti nella legge di Stabilità venissero approvate nella formulazione che starebbe per essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, un contribuente di Milano o di Roma che nella medesima città possedesse una casa medio signorile che non riesce a vendere o ad affittare si troverebbe a pagare dall’anno prossimo oltre 3.000 euro di imposte, sommando Imu, Tasi e Irpef sul 50% del valore catastale: al conto, per prima e seconda casa, bisogna aggiungere quello della tassa rifiuti, mediamente destinata a crescere del 20% se si vogliono coprire i costi di gestione del servizio. Unica consolazione: la si pagherebbe anche se si vivesse in affitto.
2 Condominio, il conto della burocrazia
Da pochi mesi è entrata in vigore la riforma del condominio, il giudizio sul provvedimento non è unanime ma tutti sono d’accordo nel denunciare che la disposizione che prevede lo stanziamento obbligatorio di fondi a copertura dei lavori di manutenzione straordinaria sta creando il blocco dei lavori, perché nessuno è disposto in questa fase a versare in anticipo soldi senza certezza sui tempi e sulla qualità delle opere. Inoltre le spese della gestione del condominio stanno aumentando sia perché le nuove norme richiedono amministratori di elevata professionalità (e onorari in proporzione) sia perché è in forte crescita morosità nel pagamento delle quote, che richiede l’accantonamento di fondi e l’avvio di procedure legali di recupero delle somme.
Sono aumentati gli adempimenti burocratici per le gestione degli impianti, spesso travestiti con nobili fini, come quello del risparmio energetico. È questo il caso della certificazione energetica necessaria per vendere, locare o anche per alcune tipologie di ristrutturazione edilizia. In molti casi l’attestato, soprattutto per gli immobili vecchi di cui si sa a priori che hanno prestazioni energetiche scadenti, non è altro che una tassa occulta.
3 L’incubo dell’acquisto e il sogno del mutuo
I prezzi delle case sono continuati a scendere negli ultimi cinque anni eppure comprare casa è diventato per chi ha bisogno di un mutuo un sogno spesso irrealizzabile. Le erogazioni di finanziamenti immobiliari negli ultimi cinque anni sono più che dimezzate perché le banche hanno o di fatto sospeso i finanziamenti, proponendo già nei fogli informativi pubblici condizioni di tasso tali da scoraggiare i potenziali clienti, o li centellinano, con criteri di valutazione del “merito di credito” iperselettivi: cinque anni fa per comprare una casa da 200 mila euro se ne ottenevano 150 mila dalla banca, oggi per un immobile dello stesso valore si ottiene a fatica un prestito da 100 mila euro e spesso l’erogazione condizionata alla fornitura di garanzie supplementari. O anche, per avere un mutuo da 700 euro al mese bastava che in famiglia entrassero ogni mese 2.000 euro, adesso ne servono 3.000 e derivanti da proventi sicuri. Una politica restrittiva che rischia di trasformarsi in un boomerang per le banche: negando credito aumentano le difficoltà del mercato immobiliare con il risultato che si svalutano anche le garanzie ipotecarie ricevute per i prestiti in sofferenza che intanto continuano a crescere.
4 Il rischio di morosità scoraggia la locazione
Una recente indagine di Tecnoborsa rivela che la domanda di abitazioni da destinare alla locazione ha toccato quest’anno il minimo storico. La redditività e la sicurezza dell’investimento immobiliare sono giudicati poco interessanti. D’altro canto un proprietario che voglia locare la casa e fare tutto in regola oggi ha tre possibilità: la prima è locare a canone libero e approfittando della cedolare secca (21% sul canone percepito): non può aumentare il canone per tutta la durata del contratto e paga quasi ovunque l’Imu con aliquota pari o prossima a quella massima.
Può optare per la tassazione Irpef ordinaria e così procedere all’adeguamento annuale dei canoni, ma così il prelievo reale rischia di superare il 50%. Può infine optare per i canoni concordati a livello comunale, ha un prelievo ridotto (15% se opta per la cedolare secca) e di solito anche l’Imu è più bassa, ma il canone lordo nelle grandi città calcolato con le regole previste dagli accordi locali è ridicolmente basso. A tutto questo si aggiungono i rischi di sfitto o peggio ancora di morosità: per questo oggi non si compra per affittare e chi avendo già una casa prova ad affittarla lo fa perlopiù in attesa di tempi più propizi per vendere.
5 Il mercato è cambiato Più difficile vendere
Nel primo semestre di quest’anno si sono vendute in Italia 203.131 abitazioni; nello stesso periodo del 2006, quando il mercato andava a gonfie vele erano 439.632: in termini percentuali il calo di vendite è stato del 54%. Oggi però ci sono sicuramente più case in offerta di sette anni fa.
La difficoltà a vendere nasce certamente dalla mancanza dei mutui: le case di pregio, che di solito vengono acquistate per contanti, stanno soffrendo assai meno la crisi rispetto agli alloggi popolari e periferici, ma molto si deve all’ostinazione di molti proprietari a non voler ridimensionare le loro pretese.
È un atteggiamento comprensibile se chi vende lo fa per cambiare casa e conta di acquistare l’immobile nuovo contando sull’incasso della vendita di quello di cui dispone: una casa ce l’ha e non ha nessun motivo per svendere. Il discorso cambia se il venditore mette sul mercato una casa che non occupa: incaponirsi a non vendere costa il 5-6% all’anno solo considerando imposte, spese e mancato introito di interessi che si otterrebbero investendo il ricavato della vendita. Se a questo si aggiunge il rischio di un ulteriore ribasso dei prezzi la perdita annua diventa misurabile in doppia cifra.
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