Il tasso d’insolvenza delle categorie di crediti più rappresentative per anticipare l’andamento del ciclo economico ha ripreso a salire in seguito al pur moderato rialzo dei tassi operato dalla Fed lo scorso dicembre. Questo dato, relativo al primo trimestre dell’anno, deve far riflettere su quanto ancora l’economia americana potrà dormire sonni tranquilli e sulle possibilità reali che la Fed possa (o debba) proseguire il progressivo rialzo dei tassi d’interesse. Come ha messo in risalto il ricercatore Olav Dirkmaat nella newsletter finanziaria dell’Università Francisco Marroquin, un rialzo di un quarto di punto dei tassi ha portato le insolvenze dei crediti erogati ai settori commerciale e industriale dall’1 all’1,5%. Se il trend di rialzo delle insolvenze di tali settori persisterà, nota Dirkmaat, l’esperienza storica suggerisce che una recessione sarà inevitabile.
Viene da chiedersi perché questo campanello d’allarme sia stato ancora ignorato. Secondo il ricercatore “l’unica risposta è che la Fed sta commettendo un peccato capitale. Il numero principale, il tasso d’insolvenza su tutti i prestiti, è diminuito nel primo trimestre del 2016 dal 2.20% al 2.17%. Ciò ignora, tuttavia, le pressioni in fermento nei bilanci delle banche”. In altre parole, alcune componenti del credito iniziano a presentare insolvenze dopo l’arrivo della recessione, e non anticipano il ciclo. Per comprendere al meglio le tendenze future è necessario scorporare i crediti alle famiglie, ad esempio, da quelli verso le imprese.
Ovviamente anche in Europa il rischio di una crisi bancaria dovuto all’aumento dei crediti in sofferenza è un argomento ben noto, e con tassi d’insolvenza ben più alti di quelli americani, in particolare in Italia. La differenza fondamentale è che, da noi, di rialzi dei tassi Bce non si parla né si parlerà ancora per molto tempo.